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Ispettori nelle società, soprattutto Coop, per recuperare contributi
L’Inps a caccia di indennità non giustificate

Ancora le società, soprattutto cooperative, nel mirino degli ispettori. Questa volta a causa di indennità di trasferta e dei rimborsi spese erogati a dipendenti e soci. Da qualche tempo l’Inps sta infatti realizzando una vera e propria «pesca miracolosa» (in termini di recuperi contributivi e di sanzioni civili) presso quei datori di lavoro che ne hanno sovente approfittato per anni. Così, a quanti sono finiti sotto la lente di ingrandimento dei funzionari, viene in questo periodo presentato un conto salato. Ma, a parte i più «sfortunati», va detto che, grazie al «risparmio» che ne discende e a prescindere dalle ispezioni, la pratica di conferire, più o meno impropriamente, indennità e rimborsi a dipendenti e a soci lavoratori coinvolge oggi un numero enorme di società. In definitiva, per moltissimi, su tutto il territorio nazionale, diventa ora più che concreto il rischio di subire onerosi recuperi contributivi.

Non giustifica, è chiaro, il fine di recare un sollievo economico ai propri dipendenti, senza pesare troppo sulle casse aziendali. Evitando le imposizioni contributive sulle somme erogate quali redditi da lavoro.

Proprio sul sospetto che molte di tali somme siano state erroneamente «esonerate», e che invece formino reddito imponibile, in questi mesi sono state passate al setaccio, innanzitutto, moltissime cooperative. Con risultati spesso drammatici. Nelle realtà di medie-grandi dimensioni sono infatti fioccati verbali ispettivi con richieste di recuperi contributivi e sanzioni a cinque zeri. Stessa sorte per i rimborsi per presunte spese di trasferta, che le stesse società non sono state quasi mai in grado in documentare. Al riguardo, del resto, gli alibi che possono essere opposti dai datori di lavoro sono ben limitati. Come ha chiarito anche di recente la Suprema corte (cfr. Cass., Sez. Lavoro, n. 16639/2014), per la quale compete all’azienda che pretende di usufruire dei benefici contributivi in riferimento alle trasferte dei dipendenti e ai rimborsi spese, dimostrare quale sia la causa per cui dovrebbe considerarsi esonerata dalla contribuzione. L’Inps però ci ha messo del suo per rendere assoluta l’inversione dell’onere probatorio (e totali i recuperi), anche in quei casi che richiedevano più approfonditi accertamenti e più miti «prelievi».

In sostanza, gli ispettori, dopo avere richiesto prove documentali delle trasferte, si sono «accontentati» della «carenza» di tali riscontri per rendere sempre imponibili in toto, e indiscriminate le indennità di trasferta erogate. Cioè, senza distinzione alcuna tra i diversi regimi di indennità di trasferta, forfettari o con rimborsi a piè di lista (cfr. Circolari Agenzia Entrate n. 27E/2009 e 326E/1997), che possono sussistere.

Ai sensi dell’art. 51 del Tuir, infatti, per la mobilità extracomunale, l’indennità di trasferta forfettaria risulta imponibile solo per la parte eccedente la prevista quota giornaliera. Quanto ai rimborsi spese (trasporto, vitto ecc.), non formano imponibile, se documentati, o purché attestate dal dipendente, anche se non documentate. Scelto il regime, insomma, non sono ammesse forme «miste» di esenzione.

Eppure, ciò che accade di frequente è che nel corso degli accertamenti ispettivi si disconoscano la correttezza di indennità di trasferta e di rimborsi spese anche quando la scelta aziendale sia caduta sul meno documentato regime forfettario. Sulla cui legittimità, pertanto, i controlli ispettivi devono essere espressi (e condurre a prova positiva), non potendosi basare solamente su una presunta responsabilità datoriale.

Anche per trasferte e rimborsi, quindi, servono maggiori garanzie nei controlli. Del resto, in piena adesione a recenti pronunce della Cassazione, come la sentenza 2699/2014, che confermano che, mentre l’indennità di trasferimento rientra senz’altro nel reddito imponibile, l’indennità di trasferta è il compenso per prestazioni occasionali rese dal lavoratore al di fuori della sede ordinaria. In definitiva, prescelto il regime forfettario di indennità e di rimborso, il solo onere dell’azienda potrebbe essere quello di dimostrare il fatto della dislocazione del lavoratore in località diversa da quella ordinaria di lavoro e per periodi limitati di tempo. Fatto ciò, ogni diversa e contraria dimostrazione deve essere lasciata alla positiva (e non solo presunta «a contrario») azione di accertamento dell’Inps e dei suoi funzionari.

di Mauro Parisi

[ItaliaOggi n. 10 del 13.01.2015]