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Per prevenire davanti al giudice le pretese dell’ente.

Prevenire anche di fronte al giudice le pretese e le contestazioni degli organismi pubblici del lavoro. Per esempio, con un’azione giudiziale ex art. 442 c.p.c. di accertamento negativo, si può. Anzi, in taluni casi, si deve. Basti pensare alle situazioni in cui, dopo un controllo ispettivo, il Durc di un’azienda risulti ormai compromesso. In tali evenienze solo un’azione anticipatoria può davvero salvare le attività economiche e la capacità produttiva. Oggi, però, il più celere ricorso al giudice diventa un passaggio obbligato anche per un altro, fondamentale, motivo: il rigetto «a pioggia» (soprattutto nelle forme del cosiddetto silenzio-rigetto) della maggior parte dei ricorsi che vengono presentati in sede amministrativa. Con la conseguente certezza (es. se la pretesa è contributiva: cfr. dm 24/10/2007), non solo, ancora una volta, di non ottenere più un Durc regolare, ma soprattutto di subire un’aggressione ai beni aziendali nel caso in cui il giudice, magari adito dall’interessato solo successivamente alle contestazioni dell’amministrazione, decida di non sospendere la pretesa pubblica. Certo, i percorsi difensivi, per così dire, «preventivi», richiedono al professionista grande perizia e un preliminare e attento studio delle prove e difese che Inps, Inail e altri enti potrebbero utilizzare. In sostanza, si tratta di accollarsi l’onere di provare positivamente che l’amministrazione ha torto. Quasi mai un’impresa facile, visto che la pa non concede spesso la visione delle «carte». Per cui «nel caso di richiesta di annullamento di un verbale ispettivo, contrariamente a quanto accade [per esempio] nel caso di impugnativa di una cartella esattoriale, è onere del datore di lavoro che impugna dimostrare l’insussistenza dei fatti posti a fondamento delle contestazioni verbalizzate [dall’amministrazione]» (cfr. Trib. Lav. Ivrea n. 94/2007).

Eppure, è questa la maggiore sfida che attualmente attende avvocati, consulenti del lavoro e commercialisti impegnati ad assistere e difendere i propri cliente, destinatari di richieste economiche da parte degli Istituti di previdenza. Perché possa risultare preferibile «attaccare» con determinazione, piuttosto che arroccarsi sulla linea Maginot di una vaga attesa a oltranza, può essere chiarito dall’esemplificazione offerta dalla seguente (e piuttosto comune) situazione «critica». Un’impresa che opera nell’edilizia subisce un controllo da parte degli ispettori. Come non di rado accade, gli ispettori (facciamo siano quelli del Ministero del lavoro) «scoprono» che l’impresa ha nel tempo impiegato dei lavoratori regolarmente iscritti all’Albo degli artigiani presso la Camera di commercio, i quali hanno concluso con l’impresa contratti scritti di appalto. A parere degli ispettori, tuttavia, quelli con i lavoratori, più che essere appalti d’opera, dissimulerebbero veri e propri rapporti di lavoro subordinato. E così l’impresa si vede notificare un verbale in cui le si contesta tale impiego illegittimo di maestranze negli anni, con sanzioni amministrative per lavoro sommerso per decine di migliaia di euro. La situazione si complica ancora di più quando l’azienda, dopo poco tempo, si vede arrivare la richiesta dall’Inps di versare contribuzione per centinaia di migliaia di euro. A questo punto, se l’impresa non decide di pagare, il primo effetto è che non potrà più godere di Durc regolare. Come dire, la «morte civile» per un’impresa del settore edile. Magari deciderà di proporre ricorso amministrativo, almeno per preservare momentaneamente la propria regolarità. In caso di rigetto (come di solito) l’impresa, però, torna irregolare. Attendere l’Inps? Per l’emissione dell’avviso di addebito da impugnare, e per cui richiedere al giudice la sospensiva (che ridarebbe regolarità formale all’impresa), potrebbero passare molti mesi. Per evitare l’impasse, allora, non resta che un’opzione. Andare subito dal giudice.

di Mauro Parisi

[ItaliaOggi n. 35 del 11.02.2014]