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La Corte di cassazione sugli effetti della mancata impugnazione degli atti esecutivi.
Opposizione entro 40 giorni o la contestazione è preclusa.

Chi non oppone l’avviso di addebito Inps entro 40 giorni è comunque costretto a pagare quanto ingiunto. Pure se ha dalla sua una piena ragione. La sentenza n. 4978/2015 della Corte di cassazione è chiara sull’effetto insuperabile e di «consolidamento» delle richieste di contributi evasi e sanzioni relative in sede esecutiva.

Dunque, soprattutto nel periodo estivo, massima allerta per avvisi di addebito e cartelle.

Quelli provenienti dagli istituti previdenziali, nell’imminenza o nel corso delle chiusure aziendali, sono statisticamente i più insidiosi per i contribuenti. Tra calure estive e distrazioni vacanziere, più o meno inconsapevoli, il maggiore rischio è quello di «smarrire» il conto dei – pochissimi – giorni entro cui è possibile proporre ricorso al giudice, una volta che sia stato notificato l’avviso. Ad acuire il rischio, del resto, contribuisce pure la forma – all’apparenza piuttosto innocua (per il formato poco «espressivo» che trae spesso in inganno chi non ne è avvezzo) – dei titoli esecutivi inviati. Per cui, per distinguerli da altre diffide non altrettanto cogenti e «lesive», occorre badare bene alla circostanza che quanto viene notificato riporti l’espressa indicazione di «avviso di addebito» (cfr. Circ. Inps n. 168/2010).

Compiuta una prima e attenta ricognizione di quanto ricevuto, a meno che non si intenda ottemperare, bisogna decidere senza ritardo se agire o meno. Procrastinare o tralasciare può diventare, invece, la «dimenticanza» fatale che, rende irrecuperabile ogni effetto sostanziale. Come dire che far trascorre invano il breve termine per presentare al giudice del lavoro il ricorso avverso il titolo notificato ex dlgs 46/1999 rende impossibile, in seguito e altrimenti, fare valere nel merito le proprie ragioni. Magari ottime e fondatissime, ma, superati i tempi per l’impugnazione, assolutamente inopponibili. Per cui, ricevuti i temibili titoli, quella di non «curarsene» potrebbe diventare una «insostenibile leggerezza». Tale da costringere, senza altre soluzioni, a pagare immediatamente, pena incorrere nei più gravi e onerosi costi e azioni dei concessionari incaricati della riscossione.

Al riguardo, del resto, non solo, come detto, la S.C. ribadisce che l’inerzia genera l’incontestabilità della pretesa contributiva e l’inammissibilità dell’esame del merito in un successivo giudizio. Ma, sempre la medesima S.C., ha confermato nel corso del 2015 (Cass. n. 774/2015) che il momento dell’opposizione del titolo formato dagli Istituti previdenziali, deve opportunamente concernere tanto i vizi formali dello stesso, quanto i profili attinenti al merito. Insomma, ogni presa di posizione che riguardi solo la forma del provvedimento ingiuntivo, potrebbe non incidere affatto sul debito del contribuente. Un «sistema» di pronunce – anche quelle recenti del giudice di legittimità – che richiama alla necessità di un’azione tempestiva di opposizione alle pretese pubbliche e che le difese siano «complete», sotto ogni aspetto.

Alla luce di ciò, l’atteggiamento di molti che decidono di pagare oggi, perché convinti di potere poi, un giorno, «recuperare», non sembra condivisibile, né consigliabile. Neppure quello di chi non paga e attende «inerte». Meglio, invece, avere ben chiaro che non pagando l’intero importo dell’avviso di addebito, la cosa migliore da fare è disporsi al contenzioso. Oppure, al contrario, volendo chiudere ogni vertenza, prepararsi a compiere i versamenti richiesti, magari in rate mensili. Per accedere alle quali, però, al contribuente viene chiesto di «abiurare» espressamente a ogni volontà, presente e futura, di contenzioso.

di Mauro Parisi

[ItaliaOggi n. 165 del 14.07.2015]