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Mentre prosegue il dibattito sulla necessità di un nuovo apparato di sanzioni in materia di lavoro (al momento, senza risultati), sembrerebbe –frattanto- del tutto necessaria qualche riflessione sul modo in cui vengono applicate le attuali.

Per esempio, si sapeva che esistono illeciti amministrativi “retroattivi”, che puniscono ex post le registrazioni nei Libri unici del lavoro che a suo tempo erano state realizzate regolarmente? No? In effetti è così. Nessuna disposizione dell’ordinamento punisce espressamente alcunché del genere.

Eppure, si tratta di una fattispecie di “illecito” che viene contestata e sanzionata costantemente dai funzionari. Come è possibile? Nonsense della nostra burocrazia? E’ uno dei misteri più esoterici e imperscrutabili dell’azione di quanti che operano i controlli di lavoro presso le aziende. Adempimenti di lavoro corretti e non diversamente esigibili al momento della loro esecuzione, che si tramutano –anche anni dopo- in condotte vietate e sanzionate. Eppure, la legge non conferma affatto l’interpretazione “peggiorativa” attualmente fatta propria dall’amministrazione.

Per chi –per sua fortuna- non conosce la questione, la problematica può essere sintetizzata dal seguente esempio. Un datore di lavoro assume un apprendista (ma potremmo parlare di qualunque altro rapporto di lavoro) e, come è corretto e doveroso, il consulente del lavoro che lo assiste provvede (oltre a tutto il resto) a iscrivere quest’ultimo sul Libro unico del lavoro dell’azienda. Quindi, durante lo scorrere dei molti lunghi mesi dell’apprendistato –facciamo che siano previsti per la formazione i “canonici” tre anni: quindi trentasei mesi-, quello che concerne la posizione del giovane prestatore (quanto lavora, quando si assenta, cosa gli spetta, ecc) viene registrato come si palesa pianamente (cioè, a titolo di apprendistato) nel Libro unico. Del resto, come altrimenti dovrebbe venire riportato?

Passa il tempo e, quando oramai l’apprendistato volge a sei mesi dalla sua conclusione, ecco che compaiono in azienda gli ispettori. Accesso, domande, richieste documentali di rito: tutto secondo il solito copione. Quindi, trascorrono altri quattro mesi e i funzionari emettono il loro verdetto: disconoscimento dell’apprendistato (per esempio, per difetto formazione: ma potrebbe trattarsi di qualunque altro ritenuto motivo).

Al di là del fatto che non si intenda concordare nel merito della contestazione (e, perciò, sulla ricostruzione della posizione dell’apprendista come dipendente qualificato fin dall’assunzione) e si sia ben decisi ad opporsi all’“enorme” recupero contributivo che segue la notifica del verbale ispettivo, normalmente sorge anche il problema di combattere un’ulteriore e prevedibile contestazione degli ispettori. Quella di avere omesso di registrare (e/o l’avere registrato falsamente) sul Libro unico la corretta posizione e qualificazione dello pseudo-apprendista. Omissioni e false registrazioni che vengono fatte risalire fin all’inizio del rapporto, come violazioni dell’articolo 39, comma 1 e 2, D.L. 112/2008, per cui verrebbe a operare la sanzioni amministrativa pecuniaria prevista dal comma 7 della medesima disposizione.

In sostanza –oltre al resto- il datore di lavoro viene sempre diffidato dagli ispettori (Inps, Inail, Ministero del lavoro, Guardia di finanza, ecc) a regolarizzare ex art. 13, D.Lgs 124/2004 il Libro Unico del Lavoro, annotandovi fin dall’inizio quanto “riconosciuto” ex post dagli ispettori.

Nella fattispecie considerata, per esempio, ciò significherebbe essere ammessi –una volta sanato il presunto illecito secondo le indicazioni dei funzionari- a corrispondere la somma di € 5100. Vale a dire quanto previsto dal citato art. 39, comma 7, D.L. 112/2008 -per l’ipotesi, come nel caso, in cui siano coinvolti meno di dieci lavoratori-, “moltiplicata” per il numero di mesi della presunta infrazione (nel caso, si tratterebbe di 34 mesi). In difetto di regolarizzazione, la somma in cd. misura ridotta ex art. 16, L, 689/1981 raddoppia a € 10.200. Belle somme, per un illecito inesistente.

A ben vedere, in effetti, oltre al fatto che poteri ispettivi di “trasformazione” del contratto di lavoro non sono mai previsti per legge (dunque, neppure nel caso); neppure emerge da alcuna disposizione normativa la previsione espressa per cui ciò che fu ben fatto (cioè secondo l’apparenza giuridica) al tempo della condotta, possa “decadere” in seguito –divenendo con il senno di poi una “trasgressione”-, ove ritenuto un diverso inquadramento negoziale. Come dire che, nell’ipotesi considerata, comunque la si valuti, “il fatto non costituisce illecito amministrativo”.

In definitiva, vi è il più che fondato sospetto (in realtà, una certezza) che la prassi uniforme di contestare illeciti amministrativi per successive valutazioni dei funzionari, non rispetti il fondamentale principio di legalità. Ovvero, che sia contra legem (cfr art. 23, Cost.; art. 1, L. 689/1981).

Infatti, solo con “finzione giuridica” si può supporre illecito “poi”, ciò che non lo era affatto “prima”. Del resto, ai sensi dell’art. 4, legge 689/1981 (analogamente a quanto stabilito ex art. 51 c.p.), le iscrizione sul Lul operate dai datori di lavoro e da chi li assiste all’inizio del rapporto e in seguito, hanno rappresentato un adempimento del dovere imposto da una norma giuridica: quindi, scusate e non punibili, neppure in seguito.

Similmente al nostro esempio dell’apprendista, la condotta che in seguito viene supposta essere illecita da parte dei funzionari –l’avere iscritto nel Libro unico del lavoro, secondo la sua effettiva apparenza contrattuale, l’apprendista- non solo non appariva affatto tale al tempo dei fatti: bensì, era evidentemente doverosa e non diversamente esigibile. Nell’iniziare il rapporto di apprendistato le parti volevano esattamente quel contratto: ed esso era l’unico a cui fare riferimento nell’operare le dovute registrazioni. Così facendo, nulla era stato omesso o falsamente registrato, allora o in seguito; e ciò che si era iscritto corrispondeva all’effettivo stato dei rapporti tra le parti, secondo la loro comune volontà.

Dunque, nel pieno rispetto dell’articolo 39, DL 112/2008, comma 1 e 2, che stabilisce che “nel libro unico del lavoro deve essere effettuata ogni annotazione relativa a dazioni in danaro o in natura corrisposte” e che “il libro unico del lavoro deve altresì contenere un calendario delle presenze”.

Insomma -come si può leggere testualmente nella disposizione-, nessuna condotta ascrivibile ad illecito istantaneo relativo alla corretta tenuta del Libro Unico del Lavoro poteva essere attribuita al datore di lavoro di quell’apprendista.

Né, come detto, la discutibile scoperta successiva degli ispettori può fare “degradare” l’evento da condotta legittima a illecito amministrativo. E ciò, si ribadisce, molto semplicemente, poiché alcuna conseguenza di questo tipo è prevista espressamente –come deve essere in un ordinamento rispettoso dei cittadini- dalla legge.

Il nostro ordinamento si limita a una descrizione formale degli adempimenti che intende debbano essere rispettati al tempo delle dovute registrazioni. Solo le “omissioni” o le “infedeli registrazioni” rispetto alla “materialità” di ciò che era dovuto al tempo dei fatti vengono espressamente punite. Ma non certo –anche fosse- il mancato rispetto della disciplina contrattuale.

Del resto, anche l’eventuale intento “simulatorio” del rapporto di apprendistato considerato (che nel caso proprio non traspare) andrebbe provato puntualmente e non desunto “meccanicamente”, come accade in quasi tutte le verifiche condotte quotidianamente dagli ispettori. Si aggiunga appena, infine, che nell’ipotesi portata, il disconoscimento voluto dagli ispettori sarebbe comunque ultra legem (se non contra legem). Cioè, “inventato”, non essendo prevista alcuna conseguenza simile per legge in ordine al difetto di formazione.

Insomma, sulle contestazioni dell’“illecito” retroattivo del Lul, l’attuale visione dell’amministrazione contrasta con il fondamentale principio di legalità.

Stesso discorso, del resto, andrebbe condotto quanto alla moltiplicazione “mensilizzata” delle sanzioni amministrative. L’articolo 37, comma 7, D.L. 112/2008 non la prevede affatto quanto alle omesse o infedeli registrazioni. E, per rispetto dell’art. 1, comma 2, legge 689/1981, non ce la si può “inventare”. Dunque, anche al peggio, tutte le omesse o non corrette registrazioni dei due anni e mezzo di apprendista del nostro caso, non potrebbero che venire punite con un’unica sanzione pecuniaria (in cd. misura ridotta nel € 300, anziché € 10.200).

Non di più. E sarebbe già troppo.

di Mauro Parisi

[Sintesi n. 6 – Giugno 2015]