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Le dichiarazioni degli ispettori del lavoro nel corso della loro attività possono venire registrate da coloro che sono legittimamente presenti. È quanto, tra l’altro, emerge dalla sentenza della Cassazione, n. 14005 del 2020. Le «captazioni » da non ritenersi illecite, del resto, possono avvenire anche presso gli stessi uffici ispettivi. Il caso trattato dalla S.C. riguardava la circostanza delle parole di un ispettore («escamotage per vincere la resistenza del dichiarante ed evidenziare la spregiudicatezza del comportamento datoriale, attraverso l’utilizzo di espressioni colorite e di uso comune»), rivolte a un lavoratore, convocato presso il suo ufficio, il quale le registrava.
L’invito al lavoratore a collaborare con il funzionario, presenti anche alcuni colleghi, erano indirizzate in forme che la Cassazione riteneva prive di «giustificazione per un siffatto eloquio volgare, piuttosto censurabile sul piano deontologico in ragione della funzione svolta dal ricorrente». Parole ritenute inappropriate al punto che, giunte all’orecchio del datore di lavoro, suscitavano una denuncia da parte di quest’ultimo, quale persona offesa («le parole pronunciate dal ricorrente risultano, oggettivamente, pregiudizievoli della reputazione della persona offesa, perché oggettivamente dirette a screditarla sia professionalmente che nella sua vita di relazione sociale»).
Nel tentativo di difendersi, il funzionario affermava, tra l’altro, che le sue parole erano state intercettate in forme, modi e luoghi non consentiti. A parere della Cassazione, tuttavia, e dei giudici di merito prima di essa, era da escludersi che, nel caso, si fosse in presenza di una «captazione illecita», atteso che tra soggetti legittimamente presenti, anche di nascosto, può sempre operarsi qualunque forma di registrazione della circostanza.
In tale senso la sentenza n. 14005/2020 ricorda l’orientamento della stessa S.C. per cui, «la registrazione fonografi ca di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, a opera di un soggetto che ne sia partecipe, o comunque sia ammesso ad assistervi, non è riconducibile, quantunque eseguita clandestinamente, alla nozione di intercettazione, poiché, invece, costituisce una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, legittimamente, anche a fi ni di prova nel processo, secondo la disposizione dell’art. 234 c.p.p.».
Neppure la circostanza che l’attività dell’ispettore venisse svolta all’interno del proprio ufficio pubblici, doveva rappresentare un limite alla facoltà di procurarsi registrazioni, non potendosi equiparare il detto ufficio a una sede di privata dimora.
Infatti, come già in passato rilevato dalle Sezioni Unite della Cassazione, rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico, né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale (SS.UU. n. 31345/2017). Deve quindi escludersi che l’Ufficio ispettivo in cui è avvenuto il colloquio nel corso del quale il funzionario pronunciava le parole incriminate, possa costituire un luogo di privata di dimora, poiché in esso si compiono abitualmente attività di rilievo pubblico. Nel caso, il colloquio con un lavoratore costituiva diretta esplicazione della funzione pubblicistica svolta proprio dall’ispettore.

In definitiva, risulta senz’altro legittima la registrazione, presso gli uffici pubblici e in azienda, da parte di persone (datore di lavoro, lavoratori ecc.) che siano legittimamente ammessi alla presenza dei funzionari.

di Mauro Parisi

[ItaliaOggi n. 241 del 13.10.2020]