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Infermieri no-vax: qual è la situazione attuale della tutela dell’INAIL?

In attesa dell’annunciata legge sull’obbligo vaccinale e alla luce delle prime pronunce giudiziali, il parere INAIL 1.3.2021 spiega i meccanismi generali della copertura assicurativa per COVID-19.

Con il parere del 1 marzo 2021, l’INAIL è venuta a formulare le proprie indicazioni in ordine alla posizione e ai provvedimenti da adottare nei riguardi di quel personale infermieristico che non abbia aderito alla vaccinazione anti COVID-19.

La risposta dell’Istituto è intervenuta ancora in assenza di una puntuale -sebbene oramai preannunciata- previsione di legge in tema di obbligo vaccinale, e di fatto “anticipando” i giudici (cfr. Ordinanza del Tribunale di Belluno n. 12 del 19 marzo 2021, per quanto attinente solo di riflesso a profili assicurativo-previdenziali).

L’Ordinanza del Giudice del lavoro di Belluno

 

Ha fatto notizia l’Ordinanza del Giudice del lavoro di Belluno, del 19.3.2021, in riferimento a un ricorso di alcuni operatori di una casa di riposo che, dopo essersi rifiutati di aderire alla vaccinazione, si erano visti sospendere dall’attività di lavoro.

Nel caso -vi è da dire, valutato dal Giudice solo in via sommaria d’urgenza, ai sensi dell’art. 700, c.p.c.- si era ritenuto che i lavoratori che avevano ricorso al fine di essere riammessi in servizio, non avessero motivo di doglianza, ben potendo venire posti fuori servizio dalla casa di riposo, per ferie o altre causali.

Tra le motivazioni esposte dal Tribunale anche la “ritenuta insussistenza del periculum in mora quanto alla sospensione dal lavoro senza retribuzione ed al licenziamento, paventati da parte ricorrente, non essendo stato allegato da parte ricorrente alcun elemento da cui poter desumere l’intenzione del datore di lavoro di procedere alla sospensione dal lavoro senza retribuzione e al licenziamento”.

La precisazione dell’INAIL, seppure calata sul caso di specie, appare significativa nel definire, nell’attuale contesto emergenziale (peraltro in continua evoluzione), la portata dell’obbligo assicurativo e della conseguente tutela infortunistica, ben avendo a mente il carattere pubblico e obbligatorio dell’assicurazione INAIL.

Nell’affrontare la questione relativa a lavoratori “non regolamentati” (nel caso infermieri e operatori sanitari), l’Istituto premette come la tutela assicurativa operi comunque in via automatica, qualora ne ricorrano i presupposti soggettivi e oggettivi di legge, come stabilito dall’art. 2116 c.c. e dall’art. 67 del T.U. INAIL, Legge n. 1124/1965. Vale a dire che gli assicurati hanno diritto alle prestazioni dell’Istituto anche se il datore di lavoro non ha adempiuto ai relativi obblighi.

Per l’art. 2, T.U. INAIL, la tutela assicurativa si estende comunque a tutti gli infortuni avvenuti per causa violenta di lavoro, da cui sia derivata la morte o l’inabilità permanente o parziale al lavoro. Quindi anche in caso di infortunio colposo, con la sola esclusione dell’ipotesi del dolo.

È bene ricordare che già con la Circolare n. 13/2020, l’INAIL era venuta a ricomprendere, per i profili assicurativi, nel novero degli infortuni sul lavoro, anche l’infezione da coronavirus, qualora contratta in occasione di lavoro, potendosi equiparare la causa virulenta alla causa violenta.

Nell’occasione, nell’individuare le categorie a rischio specifico COVID-19, oltre agli operatori sanitari, in via esemplificativa, ma non esaustiva, l’Istituto indicava gli operatori in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante negli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi.

Con il parere dello scorso marzo, dovendo definire la tutela assicurativa spettante al personale infermieristico non vaccinato, l’INAIL compie un ulteriore passo nel senso della garanzia delle tutele offerte al lavoratore.

Da un lato l’Istituto configura una presunzione semplice di origine professionale dell’infezione COVID-19 a favore degli operatori esposti alla pandemia, addivenendo a delineare, per costoro, una sorta di rischio specifico. Nel contempo, richiama quel prevalente indirizzo giurisprudenziale che connota la violazione degli obblighi di utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, quale comportamento colposo da parte del lavoratore, assimila a questo anche il rifiuto al trattamento vaccinale. Esclude, così, che possa assimilarsi la scelta volontaria di non sottoporsi alla vaccinazione, al concetto di “rischio elettivo”.

Ne consegue che, fino a quanto non interverrà una previsione di legge sull’obbligo vaccinale, la scelta degli operatori sanitari di non vaccinarsi andrà equiparata, in caso di infezione, a un comportamento colposo. Pertanto, in caso di evento infortunistico, la tutela assicurativa sarà garantita dall’Istituto, venendo però meno la responsabilità del datore di lavoro e la possibilità di regresso da parte dell’INAIL.

Nei confronti degli infermieri non vaccinati –come verosimilmente del personale equiparato, di cui alla Circolare INAIL n. 13/2020-, dovrà però comunque accertarsi in concreto la possibilità di imputare il contagio da COVID-19 all’occasione di lavoro. Nel loro caso, quantomeno per l’INAIL, risulterà quindi attenuata la presunzione semplice dell’origine professionale dell’infortunio, introdotta dalla predetta prassi amministrativa.

Appare evidente che, allorquando dovesse intervenire la preannunciata previsione di legge, anche la valutazione dell’Istituto della condotta del personale a rischio specifico, assumerà una diversa articolazione. Per cui ogni mancata vaccinazione del personale tenutovi, potrebbe essere ritenuta quale condotta dolosa, non coperta da tutela INAIL.

di Barbara Broi