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A fronte di tardivi versamenti di contributi oltre i 30 giorni dall’intempestiva trasmissione di denunce, la costante prassi dell’Inps è di ritenere presunta la fraudolenza e di pretendere le più gravi sanzioni civili per c.d. evasione. La pronuncia n. 92/2022 della Corte d’Appello di Venezia, ricorda, tuttavia, come, una volta che sia provata l’involontarietà degli inadempimenti, dai tardivi versamenti devono sempre conseguire le più lievi sanzioni civili per c.d. omissione.

La sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 93 del 16.3.2022 reca confortanti notizie a chi intende difendersi dalla pretesa dell’Inps delle più gravi sanzioni civili.

Come noto, le reazioni degli Istituti, in caso di inadempimenti formali e sostanziali, ritardi e omissioni, sono sempre improntati al massimo rigore nel punire i contribuenti e chi li assiste.

In effetti, ci sono poche cose altrettanto certe quanto lo è la presunzione di fraudolenza della condotta del contribuente inosservante e l’attesa, certa e costante comminazione delle sanzioni civili nella forma più grave, tra quelle previste dall’art. 116, comma 8, Legge n. 388/2000. Quella aggravata, per cosiddetta “evasione”.

Quale sia lo stato della materia è ben chiarito da una vasta e univoca giurisprudenza al riguardo, autorevole e incontroversa. Chi omette di adempiere con precisione a quanto previsto, comunque sia, è da ritenersi in malafede e colpevole al massimo grado. Salvo, beninteso, la (molto difficile) prova del contrario. Si confronti, a titolo di esempio sul punto, tra le moltissime, la sentenza della Cassazione del 25.5.2015, n. 17119.

L’omessa o infedele denuncia fa, infatti, presumere l’esistenza della volontà datoriale di occultare i dati allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti.

In particolare, si ritiene che la mancata o infedele denunzia configuri occultamento dei rapporti e delle retribuzioni (o di entrambi) e faccia presumere l’esistenza della volontà di realizzare l’occultamento allo specifico fine di non versare i contributi.

Nella fattispecie concreta l’Inps ha ravvisato l’evasione contributiva ed ha irrogato le sanzioni previste dall’articolo 116, comma 8, lettera b), Legge n. 388/2000.

In tale situazione sarebbe stato onere del datore dare la prova della mancanza dell’intento fraudolento, in considerazione del fatto che la disposizione normativa in esame assimila la “evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero”, al “caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate”.

In definitiva, di principio, ogni omissione, ritardo, imperfezione, squadratura, eccetera, in cui possa incorrere il contribuente – anche a causa dell’attività del professionista che lo assiste – e che si accompagna a un ritardo nel versamento della dovuta contribuzione, diventa destinataria della sanzione civile maggiore (art. 116, co. 8, lett. b), cit., c.d. evasione: “in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero … sanzione civile, in ragione d’anno, pari al 30%”), anziché di quella più lieve (art. 116, co. 8, lett. a), cit. c.d. omissione: “nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce … sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti”).

Ciò significa essere puniti con sanzioni ci vili di 5-6 volte superiori a quelle più lievi.

Ma anche ammettendo che, a fronte di un ritardo nella presentazione delle denunce, poi recuperato, il contribuente riesca a dimostrare la propria buona fede, secondo la costante prassi degli Istituti, egli sarà comunque destinatario di sanzioni civili per evasione, nel caso in cui operi i dovuti versamenti dei contributi o premi oltre i trenta giorni dalla denuncia stessa.

La ragione è presto detta.

L’amministrazione, assimilando le due fattispecie (di buona fede e di fraudolenza), nel predetto caso di versamenti tardivi, ritiene che il ravvedimento operoso, previsto in effetti per le sole ipotesi di occultamento (“Qualora la denuncia della situazione debitoria sia effettuata spontaneamente prima di contestazioni o richieste da parte degli enti impositori e comunque entro dodici mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o premi e sempreché il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro trenta giorni dalla denuncia stessa, i soggetti sono tenuti al pagamento di una sanzione civile” per c.d. omissione”), possa fare rubricare quali ipotesi sanzionate per “evasione”, anche fattispecie all’origine solamente “omissive”.

Come accennato, malgrado le pretese dell’Inps si conformino costantemente a tale soluzione in malam partem, in effetti niente del genere è stabilito per legge.

La vicenda su cui la Corte d’Appello veneziana era chiamata a pronunciarsi aveva per l’appunto a che fare con un’iniziale incolpevole omissione di invio di denuncia Uniemens da parte di un professionista, con riguardo ad alcune aziende clienti, a causa di un disguido tecnico.

Accortisi dell’omissione solo nei mesi successivi al termine previsto, le denunce venivano infine trasmesse.

Nel frattempo una delle aziende clienti, che era in crisi, tardava a versare la contribuzione dovuta per alcuni ulteriori mesi, anche in seguito alla comunicazione degli Uniemens.

Una volta versati i contributi, a questo punto l’Inps pretendeva con Avviso di addebito anche le sanzioni civili per c.d. evasione, in quanto, all’epoca del versamento, erano trascorsi i “trenta giorni dalla denuncia” suddetta.

L’azienda presentava opposizione in giudizio, riuscendo a dimostrare la propria buona fede -data l’irregolarità per il fatto tecnico del professionista, in effetti non contestato dall’Inps e facendosi riconoscere come dovute solo le minori sanzioni civili per c.d. omissione.

Forte delle proprie ritenute ricostruzioni in diritto, però, l’Inps presentava appello, per vedersi riconosciute le maggiorazioni più elevate.

Facendo chiarezza quanto alle perplesse, quantunque abitudinarie, interpretazioni dell’amministrazione, la Corte d’Appello di Venezia ha infine confermato che, provata la buona fede e l’inottemperanza involontaria del contribuente, da essa, per eventuali ritardi nei versamenti, non possono mai discendere le sanzioni ex art. 116, c. 8, lett. b), L. n. 388/2000, essendo detti ritardi “irrilevanti” al riguardo.

Corte d’Appello di Venezia, sezione lavoro, sentenza del 16.3.2022, n. 93

Nel caso di omissione involontaria delle denunce contributive ed escluso il perfezionarsi della fattispecie di evasione contributiva, deve ritenersi irrilevante la circostanza, dedotta dall’Inps, che il pagamento dei contributi sia avvenuto oltre il termine di trenta giorni indicato dall’art. 116, comma 8, lett. b), cit., essendo tale termine previsto per la sola ipotesi di evasione di cui all’art. 116, comma 8, lett. b) cit. e non anche per la diversa fattispecie di omissione cui alla lett. a) del medesimo articolo (cfr., in tema, Cass. Sez. Un., 19655/2014, che opera una netta distinzione tra l’ipotesi di omissione contributiva di cui alla lett. a) e quella di evasione contributiva “prevista dalla successiva lett. B) del medesimo art. 116, comma 8”).

In tali casi, pertanto, il ritardo nei versamenti -per qualunque periodo di tempo- non potrà che comportare sempre l’applicazione delle più lievi sanzioni ex art. 116, c. 8, lett. a), L. n. 388/2000.

In definitiva, un altro punto a favore delle tutele di aziende e professionisti.

di Mauro Parisi

[Sintesi n. 3/2022]