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La consulenza richiesta a soggetti qualificati va valutata per l’esigibilità della condotta dal datore di lavoro.
  • TRA GLI ADEMPIMENTI A CUI È TENUTO IL DATORE DI LAVORO VI È ANCHE LA FORNITURA DI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE (DPI) AL LAVORATORE EX ART. 18, T.U. SICUREZZA
  • PER VERIFICARE RISCHI E ADEMPIMENTI SPECIFICI SOVENTE I DATORI DI LAVORO SI RIVOLGONO A SOGGETTI COMPETENTI IN GRADO DI FORNIRE IDONEA CONSULENZA SULLA SICUREZZA
  • PER GLI ISPETTORI, COME PER I GIUDICI, IL CONFERIMENTO DI INCARICHI DI CONSULENZA NON ESCLUDE LA RESPONSABILITÀ DEI DATORI DI LAVORO, NON TRATTANDOSI DI DELEGHE DI FUNZIONI
  • TUTTAVIA, COME RICORDA ANCHE LA S.C. (SENTENZA N. 22628/2022) AL FINE DI VALUTARE L’ESIGIBILITÀ DELLA CONDOTTA DATORIALE ANDRANNO ANCHE CONSIDERATI I CARATTERI DELLA CONSULENZA

La scelta di adeguati dispositivi di protezione individuale (DPI) rispetto al rischio per la salute che corre il lavoratore, rientra tra i compiti qualificati che il datore di lavoro è chiamato ad assolvere per garantire l’effettiva protezione del dipendente.

In particolare, gli adempimenti in materia di DPI costituiscono oggetto di richiamo specifico da parte del legislatore, il quale affida al medesimo datore di lavoro, al suo dirigente, e pure a quanti li coadiuvano (responsabile per la sicurezza e medico competente) il dovere di indicare gli strumenti di protezione più idonei sulla base delle valutazioni dei rischi aziendali che sono state effettuate (art. 18, comma 1, lett. d), D.Lgs n. 81/2008).

DPI E OBBLIGO DEL DATORE DI LAVORO

Così per l’art. 18, D.Lgs n. 81/2008

Il datore di lavoro, che esercita le attività previste dal TU Sicurezza, e i dirigenti, che organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite, devono fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, ove presente.

A tale fine e con riferimento ai presidi per la sicurezza, pure personali, già il DVR (documento di valutazione dei rischi) deve contenere “l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati, a seguito della valutazione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a)” (art.28 c.2 lett. b) D.Lgs.81/08).

Risulta di tutta evidenza, però, come una valutazione mirata anche sui DPI, resa necessariamente sempre attuale rispetto al mutare delle esigenze e al progresso della tecnologia, necessiti di competenze e capacità che non sempre sono possedute dalle aziende, soprattutto se meno strutturate.

Ragione per cui non è raro che ci si affidi per la consulenza a soggetti esperti in materia di sicurezza, i quali, compiuto uno studio specifico, dovranno indicare ai loro assistiti come adeguare le proprie misure di protezione, compresi i DPI da adottare.

Come solitamente accade, gli interventi del personale ispettivo competente possono verificare che siano stati acquisiti e distribuiti, con le opportune informazioni e l’addestramento opportuno, tutti i necessari dispostivi individuali (es. caschi, scarpe, guanti, ecc.), idonei a evitare infortuni. Inoltre, che i medesimi siano effettivamente e correttamente utilizzati dai prestatori di lavoro.

In difetto di corretta adozione dei DPI, con lesione dell’art. 18, D.Lgs n. 81/2008, la sanzione comminabile, previa contestazione, è quella prevista dall’art. 55, comma 5, TU Sicurezza, per cui “Il datore di lavoro e il dirigente sono puniti … con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.842,76 a 7.371,03 euro”, secondo le sanzioni ora “attualizzate”.

Non è raro, tuttavia, che venga opposta agli ispettori proprio la circostanza per cui i datori di lavoro si sarebbero avvalsi e attenuti alle indicazioni professionali di soggetti competenti, che avrebbero impartito loro indicazioni specifiche sugli strumenti da adottare.

Il riferimento all’opera di soggetti esterni all’azienda in funzione consulenziale, al fine di evitare responsabilità specifiche da parte del datore di lavoro, è stato di recente oggetto di considerazione anche da parte della Suprema Corte che ha valutato l’effettività dell’esonero del datore di lavoro chiamato a fornire DPI ai propri dipendenti (Cassazione, sentenza n. 22628 del 10.6.2022).

CONSULENZA E RESPONSABILITÀ SULLA SICUREZZA

Così per la Cassazione, sentenza n. 22628/2022

In tema di infortuni sul lavoro, il conferimento da parte del datore di lavoro di una specifica attività di consulenza in materia di sicurezza a soggetto con esperienza e specializzazione, volta a integrare il bagaglio di conoscenze del datore di lavoro al fine di raggiungerne il livello adeguato alla gestione dello specifico rischio, implica la verifica dell’ampiezza e della specificità dell’oggetto della consulenza e, quindi, dell’eventuale particolare complessità della scelta degli specifici idonei dispositivi di protezione onde potere dedurre la conoscenza o la conoscibilità di questi ultimi da parte del datore di lavoro.

Nel caso valutato dalla Cassazione, era stato ritenuto non idoneo un dispositivo di protezione offerto al lavoratore (guanto), il quale poi aveva patito un infortunio (taglio) a causa della ritenuta inidoneità del DPI.

Il datore di lavoro si era difeso facendo riferimento al contratto di consulenza con un soggetto esterno, di cui aveva seguito le indicazioni.

Tuttavia, nel caso considerato, la Suprema Corte aveva ritenuto che, non solo la consulenza esterna non potesse operare quale mero escamotage volto a esonerare il datore di lavoro, ma pure che l’affidamento a essa non esonerasse da responsabilità il datore di lavoro alla luce della circostanza che, per giurisprudenza conforme, a nulla rilevava l’esistenza di una mera attività di consulenza ai fini di un’efficace delega di funzioni.

Infatti, come anche faranno gli ispettori chiamati a valutare la correttezza delle scelte del datore di lavoro nel corso di un controllo ispettivo, gli obblighi di prevenzione e sorveglianza che gravano sull’azienda possono essere trasferiti -con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al datore di lavoro- solo in forza di un atto di delega ai sensi dell’art.16 d.lgs. n.81/2008. Tale delega, sempre per la Cassazione (sent.n. 22628/2022), deve riguardare “un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, deve essere espresso ed effettivo, non equivoco e che investa un soggetto qualificato per professionalità e esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa”.

VALIDA DELEGA DI FUNZIONI DEL DATORE DI LAVORO

Così per l’art. 16, D.Lgs n. 81/2008

La delega di funzioni da parte del datore di lavoro è ammessa con i seguenti limiti e condizioni:

a) che essa risulti da atto scritto recante data certa;

b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;

c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;

d) che essa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate;

e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto.

Alla delega di funzioni deve essere data adeguata e tempestiva pubblicità ed essa non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite.

Se tuttavia l’incarico di consulenza non sembra di per sé sufficiente, quantunque qualificato, a scriminare la responsabilità eventuale del datore di lavoro, nel contempo va tenuto in considerazione al fine di valutare il titolo e l’elemento soggettivo di un eventuale inadempimento del precetto.

Per cui, alla luce della circostanza che vi sia stato un incarico di consulenza, non potrà configurarsi comunque una condizione di responsabilità immediata e oggettiva del datore di lavoro, ma, per il cosiddetto principio di esigibilità, andranno valutati i caratteri di complessità dell’attività oggetto di incarico e la correttezza dell’affidamento prestato. In tale senso si pronuncia anche la Suprema Corte nella citata sentenza n. 22628/2022 (“il conferimento di una specifica attività di consulenza nel settore della sicurezza, pur non operando in termini di delega di funzioni, implica l’accertamento della sussistenza della concreta possibilità dell’agente di uniformarsi alla regola violata, valutando la situazione di fatto in cui ha operato. In particolare, è necessario valutare l’eventuale influenza della detta attività di consulenza in ordine al giudizio sull’esigibilità del comportamento dovuto, indispensabile per fondare uno specifico rimprovero per un atteggiamento antidoveroso della volontà. Tale valutazione deve considerare tanto la professionalità del consulente e, quindi, la sua effettiva esperienza e specializzazione nel settore, quanto l’ampiezza e la specificità dell’oggetto della consulenza e, quindi, l’eventuale particolare complessità della scelta degli specifici idonei dispositivi di protezione, onde poter dedurre la conoscenza o la conoscibilità di questi ultimi da parte del datore di lavoro, eventualmente anche a seguito di specifica interlocuzione con il consulente (in ipotesi, per il tramite del RSPP). Diversamente opinando, infatti, si porrebbe in capo al datore di lavoro una inaccettabile responsabilità penale “di posizione”, tale da sconfinare in responsabilità oggettiva, in luogo di una invece fondata sull’esigibilità del comportamento dovuto”).

di Mauro Parisi

[V@L – Verifiche e Lavoro n. 1/2023]