Vigilanza da remoto e nuove modalità semplificate di accertamento d’ufficio da parte dell’Inps, sono tra le disposizioni urgenti del D.l. n. 19/2024 per contrastare evasione e irregolarità. A inviti, questionari e richieste notificate dovranno rispondere contribuenti e soggetti terzi. Pena la conferma in giudizio dell’esistenza del credito dell’Istituto.
Il Decreto legge n. 19 del 2 marzo 2024, sebbene volto al lodevole intento di contrastare l’evasione e favorire l’emersione dell’irregolarità del lavoro, accentua in modo temibile il carattere inquisitorio dell’indagine in materia contributiva da parte dell’Inps. Soprattutto nei riguardi di chi, “emerso”, lo è già.
Una connotazione repressiva del confronto previdenziale poco sintonica rispetto ai fondamentali principi di garanzia delle difese. I quali, a parole, mai si negano, quantunque, nella prassi quotidiana, risultino sovente ben poco sostenuti. Una tendenza dei controlli dell’Istituto in contrasto con le ben differenti tutele offerte dal legislatore in materia fiscale, soprattutto dopo il recente intervento di riforma dello Statuto del contribuente (Legge n. 212/2000) a opera del D.lgs. n. 219/2023 (per cui ora si nega alla materia previdenziale la salvaguardia del contraddittorio pure prevista dall’art. 6 bis negli accertamenti fiscali).
Vi è da notare come, nel tempo, gli Istituti abbiano fatto sempre maggior ricorso a vigilanza e verifiche d’ufficio (“da remoto”, come si potrebbe dire oggi), relegando alla marginalità i controlli diretti sul territorio (quelli propriamente ispettivi). Per cui, sulla sola base di riscontri nelle banche dati e di incroci di informazioni (es. con le dichiarazioni dei redditi), l’Inps sta operando già nell’attualità gran parte della propria vigilanza mediante “accertamenti eseguiti d’ufficio” (cfr. art. 30, c. 10, D.l. n. 19/2024, che invece li prevederebbe solo dal 1° settembre 2024). Un trend che determina, tra l’altro, l’evidente problema che di tali controlli e dei loro modi, almeno fino agli esiti finali (sovente essi stessi indecifrabili, poiché privi di motivazione: cfr. le diffuse note di rettifica), nulla potrebbe essere noto nel frattempo ad aziende e professionisti.
In un quadro della vigilanza senz’altro mutato -e divenuto non particolarmente benigno per il contribuente-, viene ora positivamente stabilito, tra le nuove misure repressive del Decreto legge, che “le attività di controllo e addebito dei contributi previdenziali … possono fondarsi su accertamenti eseguiti d’ufficio dall’Inps sulla base di elementi tratti anche dalla consultazione di banche di dati dell’Istituto medesimo o di altre pubbliche amministrazioni”.
I controlli d’ufficio dell’Inps, superando le forme e le garanzie (es. art. 13, D.lgs. n. 124/2004) dell’ispezione del lavoro (sempre praticabile, ma, a questo punto, solo in via eventuale), potranno perciò essere istituzionalmente eseguiti nei modi previsti dal comma 11 dell’art. 30, D.l. n. 19/2024, come segue:
Per l’adempimento dei compiti di cui al comma 10, gli uffici dell’Inps possono:
a) invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti;
b) invitare i contribuenti, indicandone il motivo, ad esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti;
c) inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti o nei confronti di altri contribuenti con i quali abbiano intrattenuto rapporti, con invito a restituirli compilati e firmati;
d) invitare ogni altro soggetto a esibire o trasmettere, anche in copia fotostatica, atti o documenti rilevanti concernenti specifici rapporti intrattenuti con il contribuente e a fornire i chiarimenti relativi, nonché a rendere dichiarazioni su questionari trasmessi dall’Inps.
La novità dei molti “inviti” (a comparire, a fornire notizie e documenti, ecc.) che possono essere promossi dall’Inps anche a “qualunque” soggetto (“ogni altro soggetto” ), oltre allo stesso contribuente interessato, appare dirompente.
Seppure poteri simili erano già in precedenza concessi agli ispettori (cfr. art. 3, D.l. n. 463/1983), la novità è che ora le investigazioni potranno essere anche impersonali (“gli uffici dell’Inps possono”) in sede amministrativa, senza particolari formalità (al limite neppure la notizia all’interessato dell’avvio delle indagini, né la possibile assistenza di un professionista), se non quella di concedere un termine non inferiore a quindici giorni per rispondere all’“invito” (comma 12).
Molte aspettative vengono anche essere riposte nella possibilità di compiere indagini mediante “questionari” trasmessi dall’Inps, il cui carattere naturalmente vincolato e pregiudiziale (essendo predefinite le domande e il loro sviluppo e, dunque, la “tesi” sottostante) non può sfuggire.
A questo punto, assunte le notizie ritenute necessarie, senza ulteriori verbali di chiusura delle operazioni e un reale contraddittorio con l’Istituto (mentre nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, per la L. n. 212/2000, il contraddittorio deve essere “informato ed effettivo” ), l’Inps può già notificare il proprio “avviso di accertamento” (e finanche avviso di addebito), nonché procedere nei modi di cui al comma 13, art. 30, D.l. n. 19/2024.
Sulla base delle risultanze dell’attività accertativa effettuata d’ufficio, l’Inps può formare avviso di accertamento, da notificare al contribuente prioritariamente tramite posta elettronica certificata. Qualora il contribuente esegua il pagamento integrale dei contributi dovuti entra trenta giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento, si applica la sanzione civile nella misura di cui all’articolo 116, comma 8, lettera c), della legge 23 dicembre 2000, n. 388. L’Inps provvede alla notifica di un avviso di addebito ai sensi dell’articolo 30, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
Al di là di alcuni apparenti refusi nel testo del Decreto legge, emendabili in sede di conversione, emerge la possibilità di aderire alla richiesta dell’Inps, accedendo a uno sconto premiale pari al 50% delle sanzioni civili richieste (secondo l’ora introdotta lettera b-bis dell’art. 116, c. 8, L. n. 388/2000, che prevede, appunto, che “ in caso di situazione debitoria rilevata d’ufficio dagli Enti impositori ovvero a seguito di verifiche ispettive, al versamento della sanzione civile di cui al primo periodo delle lettere a) e b) nella misura del 50 per cento, se il pagamento dei contributi e premi è effettuato, in unica soluzione, entro trenta giorni dalla notifica della contestazione”. Esso viene ammesso anche in caso di rateizzazione).
Le previsioni, senz’altro intese nel senso della più facile moltiplicazione delle operazioni di verifica delle omissioni contributive e della speditezza delle azioni di recupero, acquisiscono tuttavia una luce sinistra ove lette nella prospettiva introdotta dal comma 14, dell’art. 30, D.l. n. 19/2024.
Nel giudizio di accertamento negativo dell’obbligo contributivo ovvero di opposizione all’avviso di addebito di cui al comma 13, la mancata comparizione all’invito di cui al comma 11, lettera a), ovvero l’omessa comunicazione, in tutto o in parte, dei dati, delle notizie e dei documenti richiesti ai sensi delle lettere b), c) e d) del medesimo comma 11 costituiscono argomenti di prova ai quali il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della decisione.
In sostanza, secondo la disposizione di chiusura, nelle ipotesi in cui non vi sia adesione alle richieste di regolarizzazione dell’Istituto e, in seguito, si vada di fronte al Giudice del lavoro, la circostanza che si sia omesso “in tutto o in parte” di comunicare dati, notizie e documenti a seguito dei suddetti inviti, potrà bastare da solo (costituendo “argomento di prova”) a fondare la sentenza del Giudice a sfavore del contribuente.
L’omessa (o ritenuta poco solerte) partecipazione alle indagini d’ufficio, giustifica, in definitiva, non solo una sostanziale inversione dell’onere probatorio -in linea di principio in capo all’Istituto creditore (art. 2697 cod. civ.)-, ma addirittura assurge a presunzione di fondatezza del credito vantato dall’Inps (“rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della decisione” ).
Senza dubbio una prospettiva di eccessivo sbilanciamento tra le posizioni processuali delle parti, che non trova giustificazione specifica rispetto all’ordinario riparto dell’onere della prova (“Chi vuol far valere un diritto in giudizio -nel caso, l’Inps- deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento” ).
Tanto più che le scelte giudiziali di ritenuta rilevanza probatoria della mancata rispondenza agli “inviti”, potrebbero riguardare -stando alla lettera della norma (comma 11, lettere c) e d))- anche soggetti terzi rispetto al contribuente indagato, che abbia agito in causa (“inviare ai contribuenti questionari … ai fini dell’accertamento … nei confronti di altri contribuenti”; “invitare ogni altro soggetto a esibire o trasmettere … atti o documenti rilevanti” ).
Un aggravio defensionale per i contribuenti, quello ora riferito dal comma 14, che non pare trovare neppure valida giustificazione statistica e di “ordine pubblico” nell’efficacia dei modi dell’estirpazione dell’evasione contributiva.
Infatti, appare del tutto palese che solo le imprese e le attività già emerse e note all’Inps (e, dunque, non quelle ignote e del tutto sommerse) potranno ricevere attenzione, indagini e inviti prioritariamente tramite “posta elettronica certificata”.
Vi è quindi solo da auspicare, se la suddetta “presunzione” sarà confermata in sede di conversione del D.l. n. 19/2024, che i giudici chiamati a decidere siano prudenti nelle loro valutazioni.
di Mauro Parisi