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La Cassazione stoppa gli automatismi

Stop alle presunzioni negli accertamenti ispettivi Inps. La Cassazione (sentenze n. 5960/2017, n. 6392/2017, n. 6405/2017), e non solo, ribadisce come non sia ammesso recuperare contributi e sanzioni senza prove reali di illeciti. Niente «automatismi» punitivi, insomma.

Del resto, la consuetudine al ragionamento induttivo dei funzionari e all’inversione dell’onere della prova a carico delle aziende trovano un limite espresso nelle disposizioni interne dello stesso Istituto (circolare n. 76/2016). Certo, va osservato che le «scorciatoie» probatorie stigmatizzate dai giudici garantiscono all’Istituto risultati, non di rado, economicamente formidabili e «apocalittici» per le aziende. In sostanza, in sempre più casi si fa bastare la prova dell’irregolarità relativa anche a pochi lavoratori, per determinare indebite estensioni di recuperi contributivi e sanzioni a posizioni che si presumono simili.

Eppure già da tempo l’Istituto raccomanda espressamente ai propri funzionari di evitare «accertamenti di natura induttiva o improntati sull’analisi del comportamento aziendale nel suo complesso, senza precisi riferimenti al singolo rapporto annullato». Il richiamo è tanto chiaro quanto poco osservato nella pratica. Ma può costituire un ottimo «strumento» di difesa in situazioni difficili. La stessa circolare n. 76/2016 (ma pure altre precedenti: es. la circolare n. 75/2011) che innalza il livello della richiesta diligenza, imponendo ai funzionari che le circostanze riferite anche dai lavoratori sentiti vadano «accuratamente analizzate». Cioè riscontrate in modo incrociato e obiettivo.

Una conferma alla doverosità a questo approccio cauto e di opportuna garanzia, viene oggi, come detto, dalla Cassazione. La quale, in riferimento a un accertamento ispettivo Inps, il quale aveva poi dato origine anche a un recupero di carattere fiscale, ha contrastato la possibilità per la pubblica amministrazione di incamerare contributi «indistintamente», in difetto di prova puntuale in ordine alle posizioni a cui accreditarli (Cass., ord. 8.3.2017, n. 5960). In sostanza, per i giudici di legittimità non poteva essere ritenuta la sussistenza del rapporto di lavoro dipendente tra una cooperativa e i lavoratori, per quanti tra loro che neppure erano stati identificati dagli ispettori dell’Inps. A prescindere dalla verosimiglianza della omogeneità delle posizioni provate rispetto a quelle ignote.

In modo non diverso, in un caso relativo alla presunta attività commerciale di un socio di una società ai fini della corresponsione della relativa contribuzione, la S.C., con la sentenza del 13.3.2017, n. 6392, ha osservato come nel verbale ispettivo considerato neppure emergevano dati significativi della pretesa attività commerciale del socio e che le indicazioni contenute nel medesimo verbale, oltre al quadro probatorio, erano senz’altro generico. Il fatto che in un caso consimile si sia dovuti arrivare fino in Cassazione fa senz’altro riflettere sui rischi che corrono cittadini e aziende rispetto ad approcci ispettivi sempre più aggressivi e intransigenti.

Tra gli altri automatismi punitivi non consentiti su cui di recente si sono venuti a pronunciare i giudici, meritano menzione quelli in materia di sanzioni civili, quasi sempre motivi della più grave contestazione dell’«evasione» (la S.C. conferma però che occorre dimostrare anche la volontarietà dell’occultamento: Cass. n. 6405/2017), e di accesso agli atti dell’ispezione. In quest’ultimo caso (come di recente affermato dal Tar Puglia, sent. N. 57/2017) la necessità della limitazione all’esibizione di atti per pericolo di pregiudizi ai lavoratori, occorre che sia provata sulla base di elementi di fatto concreti, non esistendo nell’ordinamento una presunzione assoluta di «pericolo».

di Mauro Parisi

[ItaliaOggi n. 90 del 15.04.2017]

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