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l nuovo regime introdotto dal dlgs n. 151/2015 (Jobs act) in vigore dal 24 settembre.
Sanzioni al minimo con un contratto di almeno tre mesi.

Cambiano le sanzioni sul lavoro sommerso. Rispetto al passato, ora diventano di massima meno onerose quelle per i più brevi periodi di irregolarità e torna la possibilità di sanare la posizione dei lavoratori sommersi. Ma, tra le condizioni dei maggiori sconti, occorre che ci sia l’accordo all’assunzione con gli stessi lavoratori in nero. Le nuove disposizioni di modifica del regime sanzionatorio, introdotte dal dlgs 151/2015, in attuazione della legge delega 183/2014, il Jobs act, sono in vigore dal 24 settembre (e, quindi, toccano solo per i fatti commessi successivamente o «a cavallo» di tale data). Tra le novità, il venire meno delle speciali sanzioni civili per il nero, comminate dagli Istituti previdenziali per contributi e premi evasi e la c.d. mini-maxisanzione per il ravvedimento spontaneo. La modifica sostanziale del regime punitivo comporta la scomparsa dell’originaria cd. maxisanzione, nell’ultima versione oscillante tra un minimo edittale di 1.950 e un massimo di 15.600, a cui si aggiungeva una sanzione accessoria pro die di lavoro effettivo, pari a 195 giornalieri. In definitiva, prima del Jobs act, due giorni di impiego di un lavoratore sommerso, costavano all’azienda 4.030. E oggi? Introdotto un regime di sanzioni amministrative a «fasce» di impiego sommerso (fino a 30 giorni; fino a 60; oltre), per lo stesso fatto, ora, un datore di lavoro può essere tenuto a versare solo 1.500. La stessa somma dovuta se il lavoratore fosse stato impiegato in nero, anziché due giorni, fino a 30. Un bello sconto, non vi è dubbio. Specie se si è in grado di utilizzare le agevolazioni offerte dalla nuova disciplina, che torna ad ammettere le regolarizzazioni. Al riguardo il dlgs 151/2015 introduce un doppio binario di sanatoria. Il primo, destinato a coloro che, all’atto dell’accertamento del lavoro nero avevano già cessato il rapporto; l’altro, a chi si è fatto trovare con le «mani nel sacco», e il lavoratore ancora in azienda. Nella prima ipotesi, ai fini della regolarizzazione basterà compiere i soliti adempimenti amministrativi tardivi (trasmettere le comunicazioni di legge; redigere il Libro unico aziendale; ecc). Nel secondo caso, invece, gli sconti al minimo delle sanzioni scatteranno se, oltre a detti adempimenti, con il lavoratore in nero si stipulerà un «contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche a tempo parziale con riduzione dell’orario di lavoro non superiore al 50% dell’orario a tempo pieno, o con contratto a tempo pieno e determinato di durata non inferiore a tre mesi». Una condizione tutt’altro che «facile», a cui si aggiunge l’ulteriore previsione del necessario «mantenimento in servizio degli stessi per almeno tre mesi». Come ora conferma la circolare del Lavoro n. 26/2015, in assenza di effettivo mantenimento del rapporto di lavoro per almeno tre mesi, «qualunque sia la ragione» (dunque, anche per causa indipendente dall’azienda, come le dimissioni), saltano gli «sconti».

di Mauro Parisi

[ItaliaOggi n. 255 del 27.10.2015]