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Una sentenza della Cassazione conferma i termini brevi per proporre l’impugnazione
Solo 20 giorni per far valere vizi di forma e notificazione

Per i vizi di forma e notificazione degli avvisi di addebito Inps, solo 20 giorni per ricorrere al giudice. La conferma del più breve termine per proporre impugnazione, rispetto a quello ordinario di quaranta giorni, viene dalla Corte di cassazione con la pronuncia n. 835/2016. Una decisione che risveglia l’attenzione delle molte aziende che proprio in questi giorni sono raggiunte dall’ondata periodica di richieste di pagamento per contributi omessi. Un lasso temporale talmente esiguo, quello ribadito dalla Suprema corte, che rischia di mettere a vero repentaglio la stessa possibilità per i contribuenti di fare valere per tempo propri diritti più che fondati. Ad aumentare il pericolo di «perdere» il termine utile, concorrono gli stessi avvisi di addebito dell’Istituto, che hanno sostituito le «vecchie» cartelle esattoriali ai sensi dell’art. 30, dl 78/2010, i quali non risultano riportare in nessuna parte l’indicazione di tale, più breve termine legale.

Dunque, in soli 20 giorni occorre chiudere il consueto «cerchio» di eventi e reazioni che si realizza in questi casi. Quello che prende l’avvio con l’arrivo in azienda dello stesso avviso di addebito Inps; che solitamente prosegue con la comunicazione dell’atto da parte dell’azienda al proprio consulente del lavoro o commercialista per una prima valutazione; che si sviluppa con l’ulteriore trasmissione dell’avviso all’avvocato che lo studia e provvede a predisporre il ricorso giudiziale; che si conclude con la presentazione dell’opposizione al giudice del lavoro. Il tutto, appunto, entro il risicato tempo che decorre dalla richiesta dell’Istituto con raccomandata postale o, sempre più spesso, via Pec (dunque da tenere costantemente sotto controllo).

Per la Suprema corte, qualora il ricorso in opposizione all’avviso di addebito al giudice competente del lavoro sia depositato oltre il termine di 20 giorni stabilito dall’art. 617 c.p.c., le eccezioni formali sull’atto Inps e sulle modalità della sua notificazione devono essere senz’altro ritenute tardive e non possono essere più fatte valere. Va peraltro osservato che, se pure dovesse «saltare» la cosiddetta opposizione breve agli atti esecutivi (come quella che, sulla forma di cartelle esattoriali e avvisi di addebito, prevede l’art. 29, dlgs n. 46/1999), il contribuente non rimarrebbe del tutto privo di mezzi per fare valere le proprie ragioni di merito. Per quest’ultime, infatti, permane il più «lungo» termine di 40 giorni (questo sì indicato negli avvisi di addebito dell’Inps).

Tra i vizi che possono essere fatti valere con l’opposizione breve dell’avviso, vi sono quelli che spesso violano platealmente l’art. 30, comma 2, dl n. 78/2010, per cui la pretesa previdenziale «deve contenere a pena di nullità il codice fiscale del soggetto tenuto al versamento, il periodo di riferimento del credito, la causale del credito, gli importi addebitati ripartiti tra quota capitale, sanzioni e interessi ove dovuti nonché l’indicazione dell’agente della riscossione competente in base al domicilio fiscale presente nell’anagrafe tributaria alla data di formazione dell’avviso». Del resto è lo stesso Istituto che ricorda alle proprie sedi territoriali (si veda la circolare Inps n. 168/2010) che «l’avviso dovrà riportare tutti gli elementi che consentono l’esatta identificazione della pretesa dell’Istituto e, in particolare: la tipologia del credito con l’informazione della gestione previdenziale di riferimento e, in caso di crediti derivanti da atto di accertamento dell’Inps o di altri Enti, l’indicazione degli estremi dell’atto e la relativa data di notifica», precisando che l’assenza di tali requisiti, come di alcuni ulteriori, compresa la corretta notificazione, «è causa di nullità dell’avviso emesso».

di Mauro Parisi

[ItaliaOggi n. 27 del 02.02.2016]