Per chi già ha fatto causa a un Istituto, stop a cartelle e avvisi da parte di tutti
La pronuncia della Cassazione n. 4032/2016 costituisce un motivo di reale sollievo per quanti hanno conosciuto un’estate “scossa” dalle richieste economiche degli Istituti previdenziali (e non solo per loro). Il divieto imposto a INPS e INAIL, evita, infatti, doppie vertenze per gli stessi fatti, nonché il raddoppio del rischio di recuperi e di spese legali.
È successo senz’altro a molti di dovere sperimentare, al rientro dai (spesso fugaci) giorni di ferie, l’acre sapore di ricevere una cartella esattoriale o un avviso di addebito. Se si è professionisti, un’esperienza magari non vissuta in prima persona (sensazione respirata direttamente dai clienti, quella), ma comunque in modi palpitanti ed empatici.
A qualcuno è pure andato peggio degli altri. I meno fortunati hanno dovuto affrontare l’emergenza già nel corso della pausa agostana. Anche quest’anno, INPS e INAIL hanno dato dimostrazione della propria, nota, solerzia estiva. Come si sa, la pubblica amministrazione non conosce tregue. Così, non pochi, hanno dovuto fare i conti con i termini strettissimi delle previste opposizioni. In molti casi, tuttavia, gli sventurati estivi hanno dovuto constatare ulteriormente che, malgrado avessero in precedenza agito con diligenza e attenzione, tale cura non è bastata. È il caso, per esempio, di quelle aziende che, avendo già subito richieste contributive da parte dell’INPS (es. con verbali ispettivi, avvisi bonari eccetera), avevano desiderato evitare le molte incertezze della pendenza della pretesa economica, rivolgendosi immediatamente al Giudice del lavoro per fare accertare il loro diritto.
Come noto, infatti, tale azione preventiva –in genere meramente anticipatoria di un inevitabile contenzioso-, quantunque connotata dalle solite, indubbie complessità tecniche, garantisce al contribuente taluni effetti accessori, per nulla indifferenti.
Il primo dei quali, è quello di mantenere –in pendenza del ricorso- sempre regolare ai fini del Durc l’azienda, malgrado il credito vantato dagli Istituti. Il secondo, quello di impedire –nelle medesime more- l’inizio dell’azione recuperatoria (leggi: emissione di cartelle esattoriali e avvisi di addebito) da parte dei creditori pubblici. Non poco. A tale proposito, va osservato che è la legge medesima a disporre espressamente tali effetti garantistici a beneficio dei contribuenti. In particolare, per quanto concerne la “paralisi” dalla possibilità di ogni azione di recupero nei confronti del contribuente l’articolo 24, comma 3 del decreto legislativo n. 46/1999, prevede che “se l’accertamento effettuato dall’ufficio è impugnato davanti all’Autorità giudiziaria, l’ iscrizione a ruolo è eseguita in presenza di provvedimento esecutivo del giudice”.
Dunque, se manca tale provvedimento esecutivo del Giudice, non può essere formata, né notificata, cartella o avviso. A una legge piuttosto chiara, non corrisponde sempre, tuttavia, una altrettanto rispettosa prassi da parte degli Istituti. Invero, non è raro che quanti si sono già attivati per un giudizio preventivo del tipo sopradescritto, si vedano comunque notificare un avviso di addebito o una cartella esattoriali.
Che fare in questi casi?
Purtroppo la semplice idea che basti rivolgersi alla stessa sede dell’ente che ha inopinatamente formato il ruolo vietato –per esempio, attraverso il cassetto previdenziale-, facendo notare la necessità di “cancellarlo” senza ritardo, appare una via non sufficientemente certa (anzi, di decorso positivo senz’altro improbabile). Molte sedi, infatti, pure immediatamente informate del fatto, non rispondono neppure alle sollecitazioni dei preoccupati contribuenti.
Con quale effetto?
Senz’altro quello che, trascorso il breve termine per impugnare avvisi e cartelle –quantunque formatisi illegittimamente-, gli stessi si “consolidano”. In definitiva, essi diventano inoppugnabili, con valore di titoli di pieno effetto per operare i recuperi di contributi e premi. Ciò, anche se pendono i preventivi giudizi anzidetti.
Un’altra situazione sperimentata da molti nel periodo estivo, è quella che pervenga una cartella esattoriale dell’INAIL, per fatti accertati dall’INPS, per cui già pende giudizio contro quest’ultimo ente. È possibile?
Accade spesso. Premesso che può realizzarsi anche la situazione opposta (cioè, accertamento dell’INAIL e richiesta successiva dell’INPS: ma ciò con molta minore frequenza), con i medesimi effetti, non vi è dubbio che in una tale ipotesi si amplifichi ingiustificatamente il contenzioso sullo stesso fatto, rendendo la difese molto diseconomiche per i contribuenti.
Tuttavia, a salvezza di aziende e contribuenti, la Suprema Corte è venuta a ribadire la pienezza delle garanzie di legge, anche in forza di una interpretazione estensiva.
Come si diceva, con la sentenza n. 4032 del 1° marzo scorso -in riferimento a una vicenda in cui l’INAIL aveva iscritto a ruolo propri crediti sulla base di un verbale ispettivo dell’INPS non esecutivo, perché già oggetto di impugnazione giudiziale “preventiva”-, si è puntualizzato che anche in tali casi –pendete giudizio- l’esecuzione è ammissibile solo in presenza dell’emissione di un provvedimento espresso del giudizio.
La Cassazione ha anche affermato che non sussiste il diritto dell’INAIL a procedere con le proprie cartelle esattoriali, neppure se quest’ultimo Istituto non aveva affatto conoscenza del precedente contenzioso con l’INPS. In tutti questi casi, in definitiva, niente provvedimento esecutivo giudiziale, niente valide cartelle esattoriali e avvisi di addebito per INPS e INAIL. Ma contro gli abusi, occorrerà attivarsi senza ritardo per fare valere il proprio diritto.
di Mauro Parisi
[Sintesi n. 9 – Settembre 2016]