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Un unico accordo tra oo.ss. e un’azienda per la fruizione anche discontinua di periodi di Cigo. Le richieste all’Inps, come concordato. La pretesa dell’Istituto che gli accordi sindacali abbiano “scadenza”. Il Tar Lombardia, sede di Milano, con la sentenza del 31.07.2023, n. 1984, viene a dare tutela a un datore di lavoro costretto a farsi carico di un contenzioso giudiziario per ribadire i propri pure palesi diritti e uno stato dei fatti con poche ombre.

di Mauro Parisi

Purtroppo la via del riconoscimento dei propri diritti è spesso imprevedibilmente irta. Anche di fronte all’evidenza.

Lo sa bene, tra i molti, un’azienda milanese e suoi Consulenti del Lavoro, che hanno dovuto penare per farsi riconoscere -anche con l’assistenza dell’ANCL nazionale- l’ovvio diritto a godere di un periodo di cassa integrazione guadagni ordinaria, pure risultando in possesso di tutti i requisiti di legge.

Come comunemente accade, l’azienda, a causa di una contrazione imprevista delle commesse, si era rivolta al proprio professionista, affinché facesse tutto quanto necessario per richiedere l’intervento dell’ammortizzatore sociale.

Come noto, tra quanto viene previsto al riguardo dal Decreto legislativo n. 148 del 2015 al fine di ottenere l’ammissione alla Cigo, al suo articolo 14, si stabilisce anche l’esigenza di procedere all’informativa preventiva alle organizzazioni e rappresentanze sindacali delle cause di riduzione dell’attività lavorativa e di quanti ne saranno coinvolti. Ciò al manifesto fine di dare la possibilità di procedere, se richiesto, a un esame congiunto della situazione di crisi.

  1. Nei casi di sospensione o riduzione dell’attività produttiva, l’impresa è tenuta a comunicare preventivamente alle rappresentanze sindacali aziendali o alla rappresentanza sindacale unitaria, ove esistenti, nonché alle articolazioni territoriali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, le cause di sospensione o di riduzione dell’orario di lavoro, l’entità e la durata prevedibile, il numero dei lavoratori interessati.
  2. A tale comunicazione segue, su richiesta di una delle parti, un esame congiunto, anche in via telematica, della situazione avente a oggetto la tutela degli interessi dei lavoratori in relazione alla crisi dell’impresa.

Nel caso considerato, avveniva che l’azienda, fatte tutte le dovute comunicazioni, giungesse a trovare l’accordo, sia pure con una sola sigla sindacale, per fruire di alcune settimane complessive di cassa integrazione, anche “in maniera non consecutiva”.

Avveniva così che, sulla base di quanto concordato in sede sindacale, l’azienda facesse luogo a una prima richiesta all’Inps di cassa integrazione per alcune settimane e che essa fosse regolarmente ammessa dall’Istituto.

Quindi, di poco successivamente, sulla base dei medesimi presupposti e per lo stesso personale, si richiedeva un ulteriore periodo di Cigo, anche questo concesso senza difficoltà.

Infine, a esaurimento del numero di settimane di Cigo concordate, residuava un ulteriore breve periodo di cassa integrazione per completare quanto già ammesso. Come per i precedenti, e con le medesime modalità, per esso veniva presentata richiesta dall’azienda; la quale, però, questa volta, si sentiva opporre un inaspettato diniego dall’Inps.

Il perché era presto detto: a parere dell’Istituto, occorrevano, nel caso, nuove comunicazioni e rinnovati confronti con le organizzazioni sindacali, ai sensi dell’art. 14, D.lgs n. 148/2015 (“Preso atto che l’azienda non ha assolto all’obbligo dell’esperimento della procedura di informazione e consultazione sindacale; la documentazione allegata inerente la consultazione sindacale fa riferimento a una procedura già esaurita con l’autorizzazione delle precedenti domande”).

Ritenuto di constatare il difetto della necessaria documentazione, pertanto, la sede Inps competente provvedeva a non ammettere la Cigo, con evidenti e immediate ricadute sull’azienda e sulle posizioni dei singoli lavoratori.

Purtroppo, nella vicenda, a nulla conduceva il tentativo di interlocuzione diretta con l’Istituto per fare comprendere le pacifiche evidenze del caso. E neppure la presentazione di un ricorso amministrativo a cui, come sovente accade, l’Inps non offriva neppure riscontro.

Dopo un confronto sulla vicenda, da parte del Consulente del lavoro, con l’ANCL e i suoi legali, preso atto che ogni confronto con l’Inps, sul pure palese diritto, non aveva avuto esito positivo, si decideva di predisporre senza ritardo un ricorso al Tar per impugnare il diniego e fare concedere la Cigo mancante.

Con esso si puntualizzava che, non solo risultava palesemente contrario alla legge e contraddittorio il modo di agire dell’Istituto; ma che inoltre -pure a volere ritenere valida la contestazione dell’Istituto- neanche era stata offerta all’azienda la possibilità di “rimediare”, come previsto dal D.M. 15 aprile 2016, n. 95442 del Ministero del Lavoro in materia, con un supplemento istruttorio e alla luce del preminente e ineludibile principio del soccorso istruttorio.

In particolare, ai sensi dell’art. 11 del regolamento ministeriale sui criteri di esame delle domande di concessione dell’integrazione salariale ordinaria, nel caso, prima di procedere al rigetto dell’istanza di Cigo, addirittura avrebbe potuto essere l’Istituto stesso a contattare le organizzazioni sindacali al fine di perfezionare l’istruttoria, se ritenuta carente di alcune condizioni.

In caso di supplemento di istruttoria, l’Inps può richiedere all’impresa di fornire, entro 15 giorni dalla ricezione della richiesta, gli elementi necessari al completamento dell’istruttoria e può sentire le organizzazioni sindacali di cui all’articolo 14 del Decreto legislativo n. 148 del 2015 che hanno partecipato alla consultazione sindacale.

Malgrado lo stato dei fatti privo di ombre e dubbi, in fatto e diritto, l’azienda era perciò costretta, dapprima a fronteggiare da sé l’emergenza stipendiale del proprio personale; quindi, a farsi tempestivamente carico dell’onere di proporre impugnazione al Tar per fare riconoscere il proprio pure conclamato diritto a fruire della restante Cigo, già concordata e ammessa anche in sede sindacale.

Il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sede di Milano, in effetti riscontrava quanto già avrebbe dovuto essere del tutto evidente dalla mera considerazione delle circostanze di causa. Ovverosia, che erano state poste in essere le stabilite comunicazioni alle rappresentanze sindacali; che era stato raggiunto un accordo in riferimento alla fruizione anche non consecutiva dei periodi di Cigo; che al tempo dell’ulteriore domanda, in effetti, come non contestato, residuava un periodo settimanale non fruito dall’azienda.

A fronte di ciò, e alla luce del decreto attuativo n. 148/2015, oltre che del regolamento ministeriale del 2016, in definitiva, l’affermazione del diritto del datore di lavoro era riconosciuta come circostanza del tutto pacifica, mentre la pervicacia dell’Inps risultava priva di giustificazione.

La vertenza, in sostanza, avrebbe potuto trovare una rapida soluzione già in sede amministrativa, solo che l’amministrazione avesse inteso considerare i termini del caso.

Chiamato invece a intervenire, il Tar Lombardia, sede di Milano, con la sentenza del 31.07.2023, n. 1984, non poteva che riconoscere l’“ovvio” diritto dell’azienda ricorrente.

Il diniego dell’I.N.P.S. non appare legittimo, poiché non era necessario, in sede di presentazione della domanda per fruire dell’ulteriore settimana da parte dell’azienda, avviare un nuovo confronto sindacale e stipulare un nuovo accordo con le parti sociali, essendo stato già previsto, nell’ambito dell’accordo con i sindacati, che “il periodo massimo di sette settimane di Intervento di Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria verrà fruito in maniera non consecutiva, ad ogni effetto di legge”. Quindi, essendo stata prevista la possibilità di fruizione non consecutiva della C.I.G.O., non poteva ritenersi esaurito l’accordo posto a fondamento della stessa. Nemmeno potrebbe ritenersi, in assenza di una norma di carattere cogente, che gli accordi con le rappresentanze sindacali abbiano un limite di validità temporale, oltre il quale perdono la propria efficacia, visto che “le integrazioni salariali ordinarie sono corrisposte fino a un periodo massimo di 13 settimane continuative, prorogabile trimestralmente fino a un massimo complessivo di 52 settimane”, come stabilito dall’art. 12, comma 1, del D. Lgs. n. 148 del 2015. Infine, non assume alcun rilievo nella presente sede processuale, l’asserzione contenuta nella memoria della difesa dell’I.N.P.S., secondo la quale la mancanza di un nuovo accordo avrebbe impedito il coinvolgimento di tutte le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative … in ogni caso, l’art. 14 del D. Lgs. n. 148 del 2015 non impone il raggiungimento dell’accordo con tutte le sigle sindacali, ma soltanto che si proceda alla comunicazione preventiva alle rappresentanze sindacali aziendali, nonché alle articolazioni territoriali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, delle cause di sospensione o di riduzione dell’orario di lavoro, l’entità e la durata prevedibile e il numero dei lavoratori interessati, cui deve seguire, su richiesta di una delle parti, un esame congiunto della situazione, avente a oggetto la tutela degli interessi dei lavoratori in relazione alla crisi dell’impresa (cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, I, 1° agosto 2016, n. 1080).

Dalla decisione del Tar -resa perciò necessaria dall’inspiegabile assenza di un’ordinaria dialettica tra le parti-, emerge in modo dirimente che, con riguardo all’informativa delle organizzazioni sindacali, da tempo si è formato un univoco orientamento giurisprudenziale, per cui si ritengono sufficienti alla dimostrazione dell’assolvimento dell’adempimento di legge le provate comunicazioni alle organizzazioni sindacali. E ciò, anche nel caso in cui non sopraggiunga alcun accordo successivo.

Va tuttavia rimarcato come, nella vicenda, a tutela della propria posizione, l’Inps giungesse anche ad affermare che sarebbe stato necessario un accordo con tutte le organizzazioni sindacali interessate, come peraltro già escluso da tempo dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Sicilia, Palermo, Sentenza 9.9.2022, n. 2547 e n. 2557). La quale giurisprudenza ritiene del resto sufficiente a soddisfare il requisito di legge, anche l’accordo intercorso con l’unica sigla sindacale che si sia semmai attivata (cfr. Tar Lombardia, Brescia, Sentenza 11.6.2018, n. 557).

In definitiva, vale l’auspicio che cresca l’attenzione pubblica, quantomeno alla preservazione di quei diritti conclamati che, spesso, cittadini e contribuenti non hanno la forza di rivendicare.

[Sintesi n. 8/2023]

[Articolo pubblicato anche su www.verifichelavoro.it]