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Per la Cassazione, sentenza n. 13774/2022, la condotta non ha i requisiti della sufficiente gravità.

di Andrea Baldassi

Non va licenziata la commessa che si rivolge a un cliente in modo volgare, sebbene con un’interiezione di uso comune, durante il turno di lavoro.

È questo quanto emerge dalla Sentenza n.13774 del 2.5.2022, con la quale la Corte di Cassazione ha escluso che una siffatta condotta possa integrare una giusta causa di licenziamento.

Il datore di lavoro ha infatti facoltà di licenziare un proprio dipendente per giustificato motivo soggettivo, solo se si verifica un “notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro”, ex art. 3, L. 604/1966.

Tali obblighi possono derivare dagli artt. 2104 e 2105 c.c. (cc.dd. “diligenza” e “fedeltà” del lavoratore), dal CCNL applicabile al rapporto o da regolamenti aziendali. Tra gli esempi di inadempimento, riconosciuti quali giusta causa di licenziamento dalla giurisprudenza, vi sono l’assenza ingiustificata dal lavoro, l’insubordinazione verso i superiori, gli atteggiamenti violenti o ingiuriosi in azienda e il danneggiamento del materiale aziendale.

Perché si possa licenziare, inoltre, l’inadempimento deve essere “notevole”, essendovi altrimenti solo spazio, alla luce del principio di proporzionalità, per l’irrogazione di una sanzione non estintiva del rapporto lavorativo (quale, ad esempio, una multa o -al più- la sospensione).

Non è tuttavia agevole, né intuitivo, stabilire, in concreto, quando una condotta del lavoratore sia idonea a valicare detta soglia di gravità.

Tale compito spetta al Giudice, che, nell’esaminare la situazione sottopostagli, deve valutare una serie di elementi da cui si può desumere l’effettiva gravità della condotta contestata.

Nel caso in esame, la Cassazione, confermando il decisum di Tribunale e Corte di Appello, non ha infatti ritenuto l’episodio sottopostole tanto grave da poter assurgere a giusta causa di licenziamento.

La lavoratrice, in particolare, occupata come commessa, si era rivolta a un cliente della Società datrice di lavoro senza usare la dovuta cortesia, impiegando un’interiezione volgare. L’esclamazione aveva, a sua volta, irritato il cliente che era uscito dal negozio senza completare un acquisto di modesto valore economico. A causa dell’accaduto, a seguito di reclamo presentato dal cliente, la Società, per scusarsi, lo omaggiava con una gift card del valore di 50 euro.

Secondo la Corte, tale episodio non integra la giusta causa contestata, anche in considerazione del fatto che la stessa dipendente, nel corso degli anni di lavoro, non ha avuto alcun precedente disciplinare, né è mai stata solita tenere condotte intemperanti e non inclini all’osservanza dei doveri e delle regole.

La Cassazione, nella sua disamina, ha altresì valutato, in concreto, lo svolgersi dei fatti, anche sotto il profilo temporale, posto che l’episodio era accaduto nel periodo prenatalizio (il 23 dicembre), in un momento di intenso afflusso di clientela nel punto vendita in cui si trovava a lavorare la dipendente.

Per di più, secondo i Giudici di legittimità, nemmeno l’espressione utilizzata, “ormai parte del comune intercalare”, era apparsa nel caso particolarmente offensiva del cliente, né l’episodio si è appurato essere stato notato dagli altri compratori presenti nel punto vendita, né dai colleghi della dipendente.

In definitiva, secondo la Cassazione, l’episodio, valutato nel suo complesso, seppure sicuramente degno di biasimo, non potrebbe in alcun modo integrare una fattispecie di licenziamento per giustificato motivo soggettivo ex L. 604/1966, non attentando tale condotta al vincolo fiduciario intercorrente tra le parti.

30.05.2022