Con il Decreto fiscale, si preannunciano maggiori e più stringenti controlli su lavoro, legislazione sociale e sicurezza. Emerge però il nodo delle scarse difese procedurali previste per i soggetti ispezionati. Basterebbe estendere quelle stabilite per le verifiche fiscali, con l’obbligo per l’amministrazione di valutare attentamente le difese portate. Pena la nullità degli accertamenti eseguiti, come conferma la Cassazione.
Con il Decreto legge del 21.10.2021, n. 146, relativo a “misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili”, collegato alla Legge di Bilancio 2022, inizia a entrare nel vivo la nuova stagione delle verifiche del lavoro, quella che si accompagnerà necessariamente alle misure di ripartenza e resilienza. Come noto, un inasprimento dei controlli volti alla lotta all’evasione e all’emersione delle irregolarità, costituisce una delle direttrici delle misure attuative del Recovery Plan.
In poche parole, aumenteranno per quantità e qualità le ispezioni del lavoro, sotto ogni profilo. Il cosiddetto Decreto fiscale stabilisce, tra l’altro, un aumento strutturale del personale ispettivo, compreso, a brevissimo, l’organico dell’Arma dei Carabinieri che opera esclusivamente la vigilanza in materia di diritto del lavoro, legislazione sociale e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Il segnale appare chiaro e ne può essere condiviso l’intento, volto a offrire regolarità al sistema economico.
Ma, come per tutte le medaglie, sono da considerarne entrambe le facce. A maggiori e più penetranti controlli non potranno che corrispondere incrementi delle vertenze e del contenzioso con la pubblica amministrazione.
Difendersi da contestazioni di illeciti e recuperi contributivi errati o non adeguati, si suppone che debba costituire un diritto garantito dal nostro ordinamento anche in epoca di PNRR.
In definitiva, d’accordo con ispezioni più numerose: l’importante è che siano giuste. Tuttavia, lo stato e la pratica delle tutele procedurali nel corso dei controlli ispettivi del lavoro, e al loro esito, presenta da tempo motivi di reale preoccupazione per aziende e professionisti. La sempre più penetrante azione degli ispettori non risulta contenuta in un idoneo perimetro di garanzie temporali e operative (come, per esempio, avviene in ambito penale); ma, singolarmente, neppure sono mai stati previsti alcuni opportuni presidi procedurali e difensivi (magari simili a quelli già stabiliti in altri ambiti, come in quello tributario), per una corretta azione amministrativa, che dovrebbero offrire ad aziende e contribuenti gli strumenti tecnico-giuridici per tutelare le proprie ragioni.
Che anche datori di lavoro e committenti abbiano spesso molte valide ragioni nei confronti di ispettori e Istituti, è un fatto risaputo e statisticamente molto rilevante.
Che tale buon diritto sia in grado di emergere facilmente, tuttavia, è un altro conto.
Né si può pretendere che i diritti dei soggetti ispezionati si possano fare valere solo in sede di Tribunale. Appesantire le sedi giudiziarie di contenziosi a causa del fatto che le amministrazioni, una volta definiti i controlli con le contestazioni, si “arroccano” sui loro esiti, senza possibili rivalutazioni d’ufficio, né rispondere ai ricorsi presentati (garantite in ciò dal rassicurante meccanismo del silenzio-rigetto), non appare una prassi degna di uno stato di diritto e di un’equa volontà di regolarità del sistema.
La singolarità del nostro ordinamento, però, è che, sia pure a parità di condizioni ispettive, alcuni strumenti difensivi sono previsti ed efficaci in alcuni settori dei controlli pubblici, ma non in quello del lavoro.
A riprova, si pensi a quanto accade nell’ambito delle verifiche fiscali. In cui, a fronte di controlli pure molto penetranti, da oltre 20 anni opera lo Statuto del contribuente (Legge n. 212/2000), offrendo alcune fondamentali tutele. Le quali vengono prese molto sul serio dai giudici.
Per esempio, come stabilisce l’art. 12, Legge n. 212/2000 (“Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”), all’esito del controllo fiscale, e prima della sua definitiva conclusione con formale Avviso di accertamento, è garantita al contribuente la possibilità di portare le proprie ragioni e motivazioni. Tali esposte difese, in modo sostanziale, devono essere “valutate dagli uffici impositori”.
Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori.
L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza.
Singolarmente, nulla di simile viene proposto e stabilito in materia di accertamenti relativi ai rapporti di lavoro. Ogni difesa è lasciata a interventi successivi (ricorsi, istanze, audizioni, ecc.), sovente vissuti con “leggerezza” dall’amministrazione, quali meri passaggi burocratici, che hanno marginali, se non eccezionali, possibilità di incidere effettivamente sugli esiti dei controlli.
Risulta quantomeno molto singolare -ma si potrebbe dire, pure irragionevole- che non si sia mai seriamente riflettuto su uno “Statuto del Contribuente” (uno Statuto dell’Ispezionato, se vogliamo) anche in materia di lavoro, legislazione sociale e sicurezza.
L’azienda sottoposta a verifiche sul lavoro non merita minori tutele rispetto a quanti, in parallelo, subiscono controlli in ambito fiscale.
Per cui, risulterebbe quasi banale considerare di introdurre un semplice meccanismo di effettivo confronto con l’amministrazione (Inl, Inps, Inail, eccetera), precedente alla definizione formale degli accertamenti.
Le memorie e i documenti a discarico eventualmente prodotti dall’azienda, ricevuto il “processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo”, dovrebbero essere seriamente vagliati da istituti ed enti. I quali ne dovrebbero comunque fornire una circostanziata e motivata valutazione di riscontro, a prescindere dalla decisione finale.
Attualmente è invece molto diffuso che le osservazioni, le memorie e la documentazione prodotte dai soggetti ispezionati nel corso delle verifiche di lavoro, neanche vengano prese in considerazione dagli organi ispettivi. Nel senso che, in modo frequente, non risulterà traccia alcuna della loro presentazione ai funzionari nel processo Verbale di accertamento e notificazione finale.
Una pratica senz’altro non rispettosa dei diritti di difesa di datori di lavoro e committenti oggetto di ispezione; ma neppure segnale di un’adeguata azione di vigilanza, capace di valutare senza pregiudizio ogni aspetto materiale, pro e contro, del controllo eseguito.
Che in materia di accertamenti fiscali -come dovrebbe essere per quelli di lavoro- la pratica delle “osservazioni” del contribuente debba essere assunta dall’amministrazione con molta serietà ed attenzione, ce lo ha rammentato di recente anche la Suprema Corte (si veda sotto, l’Ordinanza 26.7.2021, n. 21350), giunta ad annullare avvisi di accertamento, poiché non erano state prese in attenta considerazione le ragioni avanzate dalla difesa, ai sensi dell’art. 10-bis, Legge n. 212/2000 (“Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale”), il cui comma 6 richiede la previa “notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto”.
In fase amministrativa, in replica a ipotizzate condotte elusive, il contribuente aveva fornito chiarimenti, enunciando le valide ragioni economiche a sostegno delle modifiche contrattuali, riconducibili alla necessità di rivedere il modello organizzativo adottato in precedenza, per la prevalenza delle funzioni gestite “dal centro”, direttamente dalla capogruppo. Il successivo avviso di accertamento, che pure dà atto della memoria difensiva dell’interessata, testualmente si limita ad affermare che “Dall’analisi effettuata non emergono ulteriori elementi che provino l’assenza di fini elusivi, pertanto l’Ufficio ritiene sussistere i presupposti previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis in merito ai ricavi non dichiarati constatati dai verbalizzanti”. Costituisce ius receptum di questa Corte che “In tema d’imposte sui redditi, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, commi 4 e 5, prevede un rigoroso procedimento d’instaurazione del contraddittorio, caratterizzato da scansioni predeterminate, in cui, a pena di nullità, l’avviso di accertamento deve essere emanato previa richiesta di chiarimenti al contribuente e deve essere specificamente motivato in relazione alle giustificazioni fornite” (cfr. Cass. 16.1.2015, n. 693; Cass. 30.1.2018, n. 2239; Cass. 28.11.2018, n. 30770). La Commissione Tributaria Regionale non vi è attenuta a tale principio di diritto in quanto non ha rilevato la nullità dell’avviso d’accertamento per difetto di specifica motivazione, in relazione alle giustificazioni fornite dalla contribuente circa l’esistenza di valide ragioni economiche, o, specularmente, circa l’assenza di finalità elusive delle operazioni contestate.
Per i prossimi annunciati confronti (e scontri) tra ispettori e azienda destinati -per previsione di legge- a crescere, quella segnata dalla Legge n. 212/2000, pare essere la strada più corretta per giungere a giuste ispezioni in materia di lavoro.
di Mauro Parisi
[Sintesi n. 10/2021]