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La sentenza della Cassazione n. 2164/2021 conferma, tra l’altro, che l’Istituto rimasto inerte alla denuncia del lavoratore, diventa responsabile per i contributi non versati dal datore di lavoro.

Tra i principali motivi per cui i prestatori di lavoro, o chi per essi (organizzazioni sindacali e professionisti espressamente delegati, parenti legittimati, ecc.), si rivolgono agli Istituti e, in particolare modo, agli uffici ispettivi dei medesimi, vi è senz’altro quello di salvaguardare la propria posizione contributiva e pensionistica.

Il lavoratore che tema – o addirittura abbia certezza (per esempio, per essere stato occupato in forme irregolari) – di omissioni e raggiri degli obblighi contributivi da parte del datore di lavoro, può presentare denuncia (normalmente denominata dall’amministrazione quale “richiesta di intervento”), affinché i funzionari possano assoggettare a verifica e recupero la contribuzione non versata dall’azienda.

La facoltà di presentare richiesta di intervento è non solo prevista espressamente dalla Legge (articolo 3, commi 9 e 10, L. n. 335/1995); ma da essa viene fatto discendere anche un noto effetto “estensivo” della prescrizione dei contributi. Vale a dire, che la mera circostanza della presentazione della denuncia, determina ipso facto un “raddoppio” del termine di prescrizione del diritto a quanto dovuto agli Istituti creditori (“Le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non possono essere versate con il decorso dei termini di seguito indicati: a) dieci anni per le contribuzioni di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti … A decorrere dal 1° gennaio 1996 tale termine è ridotto a cinque anni salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti”).

In definitiva, a seguito di denuncia agli ispettori, i lavoratori potranno vedere recuperati da parte dell’Inps i propri contributi omessi, anche trascorsi i cinque anni dall’evasione.

Va però rammentato che l’estensione temporale decennale opererà solo se la denuncia sarà intervenuta entro i “primi” cinque anni dal mancato versamento contributivo.

In tale senso è la giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. ex multis, Cassazione, n. 23237/2013). Per comprendere meglio la fattispecie, basti pensare all’ipotesi di un’evasione contributiva relativa al maggio 2016, che se oggetto di denuncia entro il 16 giugno 2021, potrà essere recuperata, anziché fino a tale data, addirittura entro il giugno 2026. Come noto, tuttavia, se la contribuzione non viene recuperata nei termini della prescrizione – per cui agli Istituti rimane preclusa ogni azione -, non tutto è perduto per il lavoratore. Poiché potrà richiedere all’Istituto di previdenza la costituzione di una rendita vitalizia ai sensi dell’art. 13 della Legge n. 1338/1962 (cfr. Circolare Inps 29 maggio 2019, n. 78).

Art. 13, Legge n. 1338 del 1962

Il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione…, può chiedere all’Istituto nazionale della previdenza sociale di costituire … una rendita vitalizia riversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria, che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi… Il lavoratore, quando non possa ottenere dal datore di lavoro la costituzione della rendita a norma del presente articolo, può egli stesso sostituirsi al datore di lavoro, salvo il diritto al risarcimento del danno, a condizione che fornisca all’Istituto nazionale della previdenza sociale le prove del rapporto di lavoro e della retribuzione indicate nel comma precedente.

La facoltà concessa al lavoratore di agire per la rendita senza preclusioni di tempo, va evidenziato, non è però del tutto scontata quanto ai suoi effetti. Infatti, come previsto espressamente, ai fini della costituzione vitalizia della medesima, è necessario che siano presentati “documenti di data certa”, dai quali possa evincersi l’effettiva esistenza del rapporto di lavoro. Non sono sufficienti presunzioni del rapporto (addirittura sentenze in cui non sia intervenuto l’Inps), quantunque dotate di verosimiglianza, per dimostrarne la passata relazione, mentre la Corte Costituzionale ammette ogni altro genere di evidenza (sentenza n. 568/1989) al fine di provarne la durata e l’ammontare della retribuzione.

La volontà di evitare strumentalizzazioni dell’istituto della rendita e il trascorrere del tempo, quindi, potrebbero rendere pressoché diabolica la prova che è chiamato a fornire il lavoratore. Al fine di tutelare il medesimo, tuttavia, la S.C. ha ammesso da tempo (cfr. Cassazione, sentenza n. 7459/2002) la possibilità che il lavoratore si rivalga direttamente nei confronti dell’Istituto, al fine di vedersi regolarizzata la posizione. A due condizioni, tuttavia. Che lo stesso Istituto, tempestivamente informato dell’omissione contributiva, non si sia attivato negligentemente, facendo prescrivere i propri crediti.

E che il medesimo lavoratore non abbia potuto, né potrà in seguito, sopperire a tanto con i rimedi di legge, provando a farsi costituire una rendita vitalizia.

Ecco allora emergere appieno l’importanza, e l’onere sostanziale per il lavoratore, di proporre una tempestiva “richiesta di intervento” all’Inps, affinché esso si attivi prima del realizzarsi delle prescrizioni di legge.

Oggi la Cassazione ribadisce, con la sentenza n. 2164/2021, come risulti conforme al diritto, fare gravare sull’Istituto istituzionalmente deputato alla tutela dell’interesse previdenziale in discorso, che non si fosse adeguatamente attivato per la riscossione del proprio credito, le conseguenze che discendono dalla violazione di obblighi di comportamento cui è tenuto nell’ambito del rapporto giuridico con l’assicurato.

Cassazione, sentenza n. 2164/2021

Ove l’Istituto non abbia provveduto a conseguire dal datore di lavoro i contributi omessi, nonostante sia venuto a conoscenza dell’omissione, lo stesso è tenuto a provvedere alla regolarizzazione della posizione assicurativa del lavoratore, che ne abbia fatto richiesta e al quale è precluso ricorrere alla costituzione della rendita ai sensi dell’art. 13, legge 1338 del 1962 o all’azione di risarcimento danni ai sensi dell’art. 2116, secondo comma, del codice civile.

In tale senso, la mancata o insufficiente attivazione dell’Inps a seguito di denuncia del lavoratore, che faccia comunque perdere la possibilità di conseguire contribuzione alla posizione del lavoratore – anche per contestuale difetto di possibile prova scritta (classico è il caso del lavoro sommerso tout court) e venire meno del datore di lavoro (cfr. art. 2116, co. 2, c.c.) -, va intesa quale violazione delle ordinarie regole di correttezza e diligenza, previste dagli articoli 1175 e 1176 del codice civile, da parte dell’Istituto di previdenza.

di Mauro Parisi

[Sintesi n. 3 – Marzo 2021]