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Per i versamenti di contributi e premi in caso di appalto e somministrazione illeciti, oltre alla nota responsabilità del datore di lavoro sostanziale, concorre ora anche quella solidale del datore di lavoro formale. In tale ultimo senso, l’interessante sentenza n. 102/2023 della Corte d’Appello di Milano costituisce un revirement rispetto a quello che è stato finora l’uniforme orientamento della Suprema Corte e della stessa prassi degli Istituti.

Uno degli assunti più noti e finora certi in materia di appalti e somministrazioni illeciti concerne la circostanza per cui, delle obbligazioni contributive e assicurative che discendono dal rapporto di lavoro effettivo, risponde l’utilizzatore della manodopera.

Dunque, nel caso di fornitura illegittima di personale formalmente dipendente da altro datore di lavoro e in ipotesi di elusione della normativa, Inps e Inail dovrebbero pretendere dal committente/utilizzatore quanto dovuto a titolo di contributi e premi.

Una verità talmente consolidata da essere anche oggetto di un’uniforme prassi degli Istituti e dello stesso Ispettorato Nazionale del Lavoro. Proprio quest’ultimo, accogliendo le consolidate ragioni creditizie di Inps e Inail, ha chiarito nel tempo, in modo inequivocabile, che gli obblighi di natura pubblicistica in materia di assicurazioni sociali gravano esclusivamente nei confronti dell’utilizzatore, datore di lavoro sostanziale, ex art. 2094 c.c.. In tale senso, per la Circolare Inl n. 10 del 2018,

l’unico rapporto di lavoro rilevante verso l’ente previdenziale [è] quello intercorrente con il datore di lavoro effettivo (Cass. civ. 20/2016 e Cass. civ. 463/2012).

Una posizione fatta propria e chiarita alle medesime sedi dell’Inps, tra l’altro, con una direttiva interna del 18.3.2019, per cui, nelle predette fattispecie di fornitura illecita, i recuperi contributivi vanno operati nei confronti del solo datore di lavoro effettivo, a favore del quale sono state fornite prestazioni di opera da parte di lavoratori in forza ad un datore meramente apparente”.

Apparentemente tutto molto chiaro, perciò, anche alla luce di un’univoca giurisprudenza della Suprema Corte.

La materia delle responsabilità contributive conosce però oggi un interessante revirement da parte della Corte d’Appello di Milano, la quale, con sentenza n. 102/2023 del 15/02/2023, chiarisce che gli Istituti di previdenza possono chiamare indifferentemente in causa, per la corresponsione di contributi e premi, tanto l’utilizzatore -datore di lavoro effettivo-, quanto il fornitore -datore di lavoro formale-. Entrambi, infatti, sarebbero, comunque sia, obbligati in solido per i medesimi importi. In particolare,

qualora il datore di lavoro formale venga chiamato ad adempiere agli obblighi contributivi, questi non può liberarsi del proprio debito opponendo la fattispecie della somministrazione irregolare nei confronti degli Enti previdenziali-assistenziali (che non abbia no agito per far accertare la diversa titolarità del rapporto di lavoro) in quanto, in tali casi, il datore formale rimane comunque solidalmente responsabile con l’utilizzatore sostanziale del pagamento dei contributi tant’è che quest’ultimo può avvalersi dei versamenti effettuati dal somministratore (ex artt. 27 e 29 D.lgs. 10.9.2003, n. 276 nonché art. 38, c. 2, D.lgs. 15.6.2015, n. 81).

Il sistema non ha concesso al datore di lavoro formale che si voglia liberare dell’obbligo contributivo la facoltà di agire nei confronti dei lavoratori e degli enti previdenziali per far accertare in via incidentale la somministrazione irregolare. Tale iniziativa, infatti, non è in grado di sortire alcun effetto estintivo poiché –come già detto– il somministratore irregolare rimane comunque corresponsabile del pagamento dei contributi a prescindere dall’accertamento positivo dell’illiceità dell’appalto.

Una posizione senza dubbio innovativa, quella della Corte d’Appello di Milano, che pare superare il suddetto noto orientamento, nel tempo sempre confermato dalla Cassazione, per cui l’unico rapporto di lavoro rilevante rispetto all’Istituto previdenziale è quello intercorrente con il datore di lavoro effettivo. Con la conseguenza che gli obblighi di natura pubblicistica in materia di assicurazioni sociali graverebbero per intero sul datore di lavoro di fatto.

Tali obblighi, per la S.C., sorgono solamente in capo all’effettivo datore, a prescindere dall’avvenuta o meno richiesta giudiziale, da parte del lavoratore somministrato, di accertamento di un rapporto di lavoro con l’effettivo utilizzatore. Ciò, in base al principio ermeneutico generale di effettività, per cui la sostanza del rapporto prevale sulla forma. Quale effetto, la disciplina applicabile in tali ipotesi di fornitura illecita di manodopera sarebbe quella prevista per la tipologia del rapporto di lavoro posto in essere materialmente, anziché quella adottata in frode a leggi e contratti. Tra le molte conferme, in tale senso si esprimeva la Suprema Corte, con la sentenza del 4.1.2016, n. 20, che affermava il principio secondo cui

in ipotesi di interposizione nelle prestazioni di lavoro, non è configurabile una concorrente obbligazione del datore di lavoro apparente con riferimento ai contributi dovuti agli enti previdenziali, rimanendo tuttavia salva l’incidenza satisfattiva di pagamenti eventualmente eseguiti da terzi, ai sensi dell’articolo 1180 c.c., comma 1, nonché dallo stesso datore di lavoro fittizio, senza che abbia rilevanza la consapevolezza dell’altruità del debito.

La medesima pronuncia ribadiva in definitiva il principio, ritenuto incontrovertibile, che “l’unico rapporto di lavoro rilevante verso l’ente previdenziale è quello intercorrente con il datore di lavoro effettivo”.

Un orientamento considerato pacifico finora, per cui “in tema di interposizione nelle prestazioni di lavoro, non è configurabile una obbligazione concorrente del datore di lavoro apparente per i contributi dovuti agli enti previdenziali” (Cass., Sez. Lav., Ordinanza 26.5.2020, n. 9782).

Appare chiaro come l’adesione all’una o dell’altra delle incompatibili tesi giurisprudenziali esposte permetta all’Inps e all’Inail una maggiore o minore libertà di azione nel recupero di contributi e premi. Infatti, il principio espresso dalla Corte d’Appello di Milano consente agli Istituti di rivolgersi in maniera indifferente a datori di lavoro sostanziali e formali, mentre l’orientamento preminente fino a oggi concentra la propria attenzione sulle responsabilità dei soli committenti degli appalti illeciti.

di Mauro Parisi

[Sintesi n. 6/2023]