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La Suprema Corte ribadisce che la valutazione delle professionalità va operata in concreto.

di Andrea Baldassi

Il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da licenziare ai soli dipendenti addetti a un reparto, se questi sono idonei ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri settori.

La condizione posta dalla Cassazione per circoscrivere la scelta dei licenziandi a singoli settori risulta piuttosto stringente, essendo necessario che l’attività lavorativa ivi svolta non sia fungibile con quella prestata in altre unità dell’azienda.

È quanto emerge da due recenti decisioni della Corte di Cassazione (Sent. 13352/2022 e Sent. 16010/2022), pronunciati in ipotesi di licenziamento intimato nei confronti di soli lavoratori occupati in un settore aziendale soppresso, per non avere il datore di lavoro fatto corretta applicazione dei criteri di scelta dei dipendenti da allontanare, ex art. 5, L. 223/1991.

In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, infatti, l’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire in relazione alle “esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale”, nel rispetto dei criteri previsti dalla Legge 223/1991 (carichi di famiglia, anzianità ed esigenze tecnico-produttive ed organizzative).

In generale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad uno specifico settore dell’azienda, la platea dei lavoratori interessati dal licenziamento può essere limitata agli addetti di tale reparto solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione della Società medesima.

Quanto più l’ambito della scelta è circoscritto a un settore dell’azienda -e non esteso al suo complesso-, tanto più il datore di lavoro può indirizzare le singole scelte verso determinati lavoratori.

Qualora, invece, sussista fungibilità anche astratta tra le posizioni e attività dei lavoratori, o si tratti addirittura di attività identiche, il datore di lavoro deve individuare i dipendenti da licenziare, non già prendendo meramente in considerazione quelli occupati presso la singola unità lavorativa che si intende sopprimere, ma la sua scelta deve essere rapportata all’intera azienda -o addirittura gruppo di società di cui fa parte-, eventualmente anche valutando mobilità e spostamenti al suo interno tra le posizioni dei vari dipendenti.

Per cui, a fronte della soppressione di un reparto di un’azienda – afferma la Cassazione con le pronunce in parola –, il datore di lavoro ha il compito di verificare se i lavoratori a esso addetti siano in possesso di professionalità equivalente a quella di colleghi collocati in altri settori dell’azienda medesima.

Invero, solo ove tale verifica dovesse dare esito negativo, la limitazione della platea dei licenziandi al settore soppresso risulterebbe giustificata, ai sensi della Legge 223 del 1991.

Al contrario, se i lavoratori licenziati fossero potenzialmente in grado di occupare le posizioni di colleghi addetti ad altri settori -ad esempio, per pregresso svolgimento di tali attività-, la scelta del datore di lavoro non potrebbe essere ritenuta corretta, con pedissequa declaratoria dell’illegittimità del licenziamento intimato.

06.06.2022