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PA: anche in giudizio serve più serenità di valutazioni e difese.

Come siano le ispezioni del lavoro e il rapporto con i funzionari nel corso degli accertamenti, appare oggi abbastanza noto a tutti. Poca -o nessuna- considerazione per le posizioni dei soggetti controllati; volontà di perseguire l’obiettivo “prefissato”; atteggiamenti non di rado -al meglio- supponenti.

L’esperienza dell’ispezione sovente si trasforma, non ce lo nascondiamo, in un trauma per le aziende (ma pure per i professionisti che le assistono).

La fase del controllo sul campo, si conclude frequentemente (quasi sempre) con provvedimento di accertamento (cd. verbale ispettivo), notificati all’imprese e ai trasgressori. In genere, c’è da pagare. Ultimamente sempre di più. Somme ingenti, paurose.

Come è noto alla fase delle “indagini”, segue un’eventuale fase “amministrativa”. Ci si confronta con i responsabili e i dirigenti degli Uffici a cui appartengono gli ispettori che hanno proceduto. Rispetto alle fasi “a caldo” dell’ispezione, ci si aspetterebbero vedute un po’ più alte e considerazioni “a freddo” delle ragioni dell’azienda un po’ più ponderate.

Ma raramente è così.

Più di frequente, con distacco -e pure un po’ di spocchia- vengono confermati gli assunti degli ispettori. Senza che mai emerga e si faccia strada un’ombra di perplessità e si concordi con almeno qualcuna delle eccezioni sollevate. Statisticamente singolare. Dubbio. Incredibile. Le leggi dei grandi numeri remano contro i soggetti ispezionati.

Di tutto ciò, più o meno, aziende e professionisti oramai hanno coscienza. Tuttavia, malgrado qualche isolata reazione sdegnata, con rassegnazione e sottomissione. Come se sottostare alle ostinate e pervicaci posizioni degli ispettori -diciamo di quelle ingiustificate e illegittime, beninteso-, fosse un fatto ineluttabile e insuperabile.

Pochi, tuttavia, sanno quale sia l’atteggiamento delle amministrazioni del lavoro quando le opposizioni agli accertamenti e la valutazione dei controlli giungono di fronte ai Tribunali. Ci si potrebbe immaginare, per esempio, che finalmente, depurate dalle “scorie” terragne delle passioni che l’ispezione ha suscitato nelle parti, la considerazione di funzionari e legali si limiti a considerare ciò che è giusto. Ossia, innanzitutto, quanto dei fatti che sono stati, più o meno, riscontrati dai funzionari si attagli correttamente alle fattispecie giuridiche prese in considerazione dalla legge.

Purtroppo è proprio nelle difese in giudizio -più ancora che nel corso degli accertamenti ispettivi- che la faziosità dell’amministrazione può toccare i suoi livelli più inarrivabili. Usi mistificanti di precedenti giudiziali; argomentazioni paragiuridiche; colpi bassi e trabocchetti dialettici; difese ad oltranza di posizioni giuridiche inconferenti e, magari, su cui già si è ampiamente dimostrato il contrario.

Beh, normale per chi fa contenzioso, no?

No. Perché c’è contenzioso e contenzioso, parte e parte. E pure difensore e difensore.

Se essere faziosi viene ritenuto proprio degli avvocati e di chi difende -con il limite di ciò che è temerario e ridicolo-, non va mai dimenticato che tale condizione non può e non deve essere comunque concessa a chi fa parte dell’amministrazione e all’amministrazione stessa. Che è re publica. Vale a dire di tutti, dovendo non solo agire sempre in nome di un interesse collettivo superiore, ma anche nel pieno rispetto della giustizia sostanziale.

L’amministrazione -e chi la difende- deve recuperare la “centralità”, della sua azione, senza uno schierarsi “netto” come fosse una “parte” qualsiasi, poiché così non è, essendo pubblica (amministrazione).

Occorre che sia ristabilito un senso della valutazione equa di prove e argomentazioni, a carico e discarico. In definitiva, oltre al senso della giustizia, quello della serenità. E andrebbe premiato chi. Appunto, sa essere tale.

Con serenità, quindi, lontani da un agire fazioso e deleterio, è facile immaginare quanti soldi risparmieremmo tutti…

di Mauro Parisi

[The World of il Consulente n. 57 del 20.06.2014]