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Per la Cassazione vale quanto già versato dal fornitore

In caso di somministrazione illecita di manodopera gli istituti previdenziali devono accontentarsi di quanto già versato da chi fornisce abusivamente i lavoratori. Al datore di lavoro che li ha utilizzati, invece, possono venire richiesti solo i contributi e premi non ancora versati. La conferma viene dalla sentenza della Corte di cassazione del 4 gennaio 2016, n. 20, per cui i contributi comunque già corrisposti devono essere tenuti per buoni e non possono condurre a un’ulteriore richiesta. Nella prassi, al contrario, specie se a seguito di controlli ispettivi, accade che, provati i rapporti di lavoro dissimulati, gli istituti pretendano in modo abnorme l’intero ammontare della contribuzione dalle aziende che hanno effettivamente utilizzato le prestazioni. Un indebito arricchimento, in definitiva.

Si pensi al caso, piuttosto frequente nella realtà, di una cooperativa che concluda con una società un contratto di appalto, per esempio per la sistemazione e lo stoccaggio nei propri magazzini. Per far fronte al proprio impegno contrattuale, la cooperativa opera con propri soci, regolarmente assunti e per cui viene versata mensilmente la relativa contribuzione. Tuttavia, un successivo controllo sulle attività della società, rileva che l’appalto formalizzato tra le parti non risulta genuino, dato che tale cooperativa in effetti si limita a mettere a disposizione i propri soci, i quali operano in tutto e per tutto quali dipendenti della società, prendendo ordini da quest’ultima e, come sovente accade, operando fianco a fianco con i dipendenti dell’appaltante.

In situazioni simili a quella descritta, è frequente, come nel caso portato alla conoscenza e giudicato dalla Suprema corte con la sentenza n. 20/2016, che l’istituto previdenziale richieda al datore di lavoro effettivo tutta la contribuzione che, nei periodi provati, avrebbe dovuto versare ove li avesse direttamente i lavoratori. E ciò senza tenere conto, tuttavia, dei versamenti, comunque già effettuati, dal fornitore di indebita manodopera (quale formale datore di lavoro) e del fatto che, sia come sia, il debito contributivo è già stato saldato.

In effetti, a seconda del Ccnl applicato dal pseudoappaltatore e fornitore, quanto già pagato potrebbe corrispondere a tutto quanto dovuto. E ciò con un effetto «salvifico» anche rispetto alle sanzioni civili richieste da Inps e Inail, in questi casi contestate sempre nella più grave forma dell’evasione. In definitiva, appare di palmare evidenza che se, per esempio, la contribuzione dovuta per i lavoratori nel periodo considerato fosse pari a 100 mila euro, altro sarebbe ritenere che ne sono già stati versati dall’illecito fornitore, per esempio, 90 mila euro; altro che, a prescindere dai 90 mila euro già versati, l’illecito utilizzatore debba l’intera somma. Su cui applicare in aggiunta (anziché sulla sola, eventuale, differenza) le sanzioni civili ex art. 116, c. 8, lett. B), della legge n. 388/2000.

Un abuso ingiustificabile anche per la S.c. che viene oggi a chiarire come debba essere fatta salva «l’incidenza satisfattiva di pagamenti eseguiti da terzi e quindi anche di quelli effettuati dal datore di lavoro apparente», a prescindere dalla considerazione che l’unico rapporto di lavoro rilevante per l’ente previdenziale rimane quello intercorrente con il datore di lavoro effettivo. Sulla stessa linea si pone, del resto la nuova previsione dell’art. 38, dlgs n. 81/2015, per cui «tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata».

di Mauro Parisi

[ItaliaOggi n. 15 del 19.01.2016]